Luigi Meneghello. “I piccoli maestri” e l’antiretorica della Resistenza

Luigi Meneghello. “I piccoli maestri” e l’antiretorica della Resistenza

Recensione di Nicola Vacca. In copertina: “I piccoli maestri” di Luigi Meneghello, Rizzoli, edizione 2013

Luigi Meneghello è uno degli scrittori più rappresentativi del Novecento italiano. Di origini venete, cresciuto durante il fascismo, ha partecipato alla Resistenza.

A quella esperienza è legato I piccoli maestri, romanzo pubblicato nel 1964, in cui lo scrittore racconta le vicende di un gruppo di giovani vicentini che decidono di diventare partigiani.

I piccoli maestri nasce come una controstoria della Resistenza, un ripensamento in chiave antiretorica e antieroica degli avvenimenti che condussero il nostro paese dallo sfacelo dell’8 settembre alla speranza del 25 aprile. Questo è uno dei tanti motivi, direi il principale, per riscoprire Luigi Meneghello e il suo romanzo a sessant’anni esatti dalla sua prima pubblicazione.

Fuori da ogni agiografia, Meneghello ne I piccoli maestri si attiene alla verità dei fatti e organizza il racconto partendo da un Io autobiografico, spinto da un’oggettività astratta di un bilancio o di una cronaca. La dimensione autobiografica costituisce la spinta primaria della scrittura di Meneghello.

L’autore ci racconta le gesta e i pensieri di un piccolo gruppo di partigiani vicentini, di estrazione borghese e studentesca di cui, giovane ventenne, ha fatto parte. Senza eroica, senza retorica, bandite la celebrazione e la propaganda, Meneghello racconta attraverso quella esperienza l’atrocità di una vicenda collettiva.

In questo piccolo gruppo di studenti che dopo l’8 settembre, guidati dal professore Antonio Giurolo, si dà alla macchia mosso da un profondo desiderio di libertà, giustizia e democrazia, troviamo i personaggi indimenticabili che rappresentano lo spirito di un popolo che non ce la fa più.

Sono loro i piccoli maestri del titolo del romanzo: giovani studenti universitari con i loro ideali, ingenui e non preparati alla guerra. Loro diventano i protagonisti del doloroso percorso della mattanza civile. Meneghello abbassa i toni ed evita volutamente qualsiasi tipo di retorica e nel racconto di questa estrema esperienza giovanile sa restituire con una scrittura fedele agli avvenimenti un ritratto vivido della complessità della Resistenza.

«Una rilettura del libro mi ha convinto che in quel tempo i miei compagni e io siamo stati a contatto con un’Italia più interessante di quella dei resoconti ufficiali e canonici. Non penso solo alla cerchia della Resistenza e della partigianeria, ma più in generale della vita di allora. Noi abbiamo avuto un rapporto privilegiato non solo con la povertà degli italiani che per un po’ abbiamo anche condiviso, ma anche con la realtà del nostro Paese (sulle quali qualcuno ha poi cercato di posare il solito coperchio di idee ricevute, e di insipienza), un’Italia caotica, giovanile, vitale, un Paese vispo generoso, un po’casinista».

Così lo stesso Meneghello difenderà le ragioni antiretoriche del suo romanzo e il suo anticonformismo, che dette molto fastidio ai gendarmi della memoria resistenziale. A sessanta anni dalla sua pubblicazione I piccoli maestri merita di essere riletto per le sue spiccate qualità etiche e civili, e anche perché resta uno di quei pochi libri che toccano le vere questioni umane della guerra partigiana.

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