La notte della Speranza e della Preghiera
Un racconto, una testimonianza di Alberto Manzi. Tutto vero, quanto accaduto in una notte di aprile
Nel silenzio del freddo corridoio, cerco invano una consolazione. Lo sguardo stanco, allo scoccare delle due del mattino, è fisso sui vetri bianchi di una porta oltre la quale ombre ricurve, su di un’altra ombra sdraiata, muovono le braccia e il corpo come se fossero immerse tra riti mistici, chiari solo a loro, su di un altare su cui, per mano della saccenteria, provano a salvare l’immolato.
La sedia è stanca. Mi alzo e mi accartoccio su me stesso; percorro il lungo corridoio tra urla, ormai mute, appiccicate sui muri dal tempo e da chi prima di me lo ha percorso. Non sono bastate, negli anni, le innumerevoli passate di bianco per cancellare da queste mura le grida soffocate, che ora sento mie in questa attesa di padre impotente, mentre i passi si fanno sempre più faticosi, perché schiacciati dal cuore pesante che fa ribalzare il suo battito, sordo ma potente, fino ai vetri coperti da spessi aloni che distorcono le luci della città.
C’è una saletta in fondo al corridoio. Le luci lì sono più tenui e a malapena rimbalzano sugli spigoli delle sedie in acciaio, attirandomi come quel luccichio di memorie estive in cui sono un bambino felice e spensierato che insegue le lucciole. Entro e il sordo battito del cuore piangente si fa più silente, scendendo un po’ dalla gola, cosicché il mio respiro di padre angosciato diventi più tranquillo, mentre i miei occhi scorgono Lei, la Mamma del Cielo; contornata di fiori, coroncine e foglietti lasciati da chi, prima di me, ha percorso quel corridoio.
La Speranza della Preghiera mi prende con dolcezza, mi rassicura. Lei, la Madre Celeste, di colpo mi porta a pensare alla maggiore sofferenza di chi ha “dato alla luce”, ossia mia moglie, che da casa mi scrive, mi chiede notizie e come me non dorme. Un figlio che soffre nella carne ti pianta una grossa spina nel cuore.
Allora, i miei pensieri nella preghiera prendono per mano i pensieri di chi mi ha reso padre. Tutto ciò, davanti alla statua della Mamma, mi riporta in tempi celati nel cuore, nascosti lì, dietro alla porta delle sofferenze mai cancellate. Momenti di un padre e di una madre giovani che, all’epoca, erano impotenti davanti alla sofferenza della loro primogenita. Anche in quei giorni un unico sollievo: la Speranza nella Preghiera.
Riprendo i miei passi nel lungo corridoio. Rimbombano sordi assieme alla mia voce che, tremante, si affida alla Mamma. Come sollevato, mi fermo davanti alla porta dalla quale vedo ancora le ombre ricurve su quell’ombra distesa; e io lì, fermo, in piedi che chiedo di nuovo, per me e per la mia dolce moglie: “Mamma, quelle ombre sono ricurve su mio figlio”.
Sento allora in cuor mio, così come avvenne per nostra figlia, che anche mia moglie, la mamma della loro vita, sta facendo con me ogni passo di questo corridoio e, con me, ripone la sua speranza nella preghiera; con me veglia.
Sono ormai le cinque del mattino, le prime luci dell’alba trapassano i vetri opachi e umidi del corridoio che pian piano si anima per un altro giorno che vedrà persone e persone camminarci sopra, così come ho fatto io per tutta la notte. Al di là del vetro opaco, le ombre ricurve si ergono e prendono sembianze umane all’aprirsi della porta, spingono il letto del mio ragazzo che dorme abbattuto da intrugli vari; una mascherina verde si abbassa:
– Il Papà?
– Sì, sono io.
– Pare tutto bene, siamo riusciti a risolvere più dell’ottanta percento. Stia tranquillo. La saluto.
Poi sparisce piano piano. Anche lui, insieme agli altri medici, ha passato la notte con mio figlio. Faccio ancora due passi lì, nella saletta. Le luci dell’alba, ancora tenui, fanno risplendere la statua della “Madonna della Salute”, la Mamma che, con la mamma e con me, ha vegliato su nostro figlio Francesco, così come fece con nostra figlia Samantha… così come farà sempre nel nostro cammino in cui mai dimenticheremo: “Nella Notte, la speranza della Preghiera”.