Jules Régis Debray, Elogio delle frontiere

Articolo a cura di Gianfrancesco Caputo – Inedito

In tempi di globalizzazione e di annullamento delle identità dei popoli, al fine di creare il “popolo unico”, parlare di frontiere può sembrare anacronistico e forse addirittura antiquato, tuttavia un certo amore per l’archeologia ci fa riscoprire il senso e la funzione della frontiera, quel limite che Ludwig Feuerbach definiva nella sua Critica della filosofia hegeliana, come “quello che diviene realtà, lo diventa sempre esclusivamente in quanto è qualcosa di determinato”.

Soprattutto in tempi come questi è opportuno, forse necessario, riconsiderare l’idea di frontiera, Jules Régis Debray scrittore, giornalista, professore e intellettuale francese, lo fa nel suo “Elogio delle frontiere” (add editore 2012). Debray si chiede se non sia lo stesso decantato sistema democratico ad aver concettualizzato un mondo senza né dentro né fuori, precipitandolo in una tecnocrazia senza confini naturali, quei confini che erano il naturale limes di popoli e imperi.

D’altro canto l’Europa delle banche e del capitalismo finanziario ha ripudiato il principio del “concerto delle nazioni” poiché avendo ereditato “un massimo di diversità in un minimo spazio” diventa troppo faticoso capirsi tra popoli europei così differenti, meglio incontrarsi nel campo neutro e spoliticizzato dell’economia, i buoni affari interessano tutti, “pecunia non olet”.

I popoli europei invece, sentono un bisogno arcaico, sanguigno, vitale, di piantare insegne ed innalzare emblemi, perché al di là delle nuvole della realtà virtuale, unificante ma falsa, i popoli europei vogliono abbeverarsi alla fonte della propria tradizione culturale.

Dunque la demo-tecnocrazia mentre comprime l’orizzonte del cittadino-elettore, allarga l’orizzonte dell’individuo-consumatore “deterritorializzando” le identità comunitarie e globalizzando l’economia, ecco perché il tema delle frontiere, oggi più che mai, è di grande attualità.

La frontiera è innanzitutto una questione intellettuale e morale, la frontiera non è un muro, è corpo vivo che respira, che filtra, lascia passare l’aria nuova proveniente da altri e diversi luoghi, favorisce l’equilibrio attraverso lo “ius publicum europaeum”, che necessita, anzi quasi impone, l’incontro tra i popoli, perché è ovvio che se questa formula è valida per i popoli europei sarà valida per i popoli di tutto il mondo, ecco si intravede la nuova frontiera.

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