La sindrome di Ræbenson. Giuseppe Quaranta e “la malattia dell’immortalità”

La sindrome di Ræbenson. Giuseppe Quaranta e “la malattia dell’immortalità”

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “La sindrome di Ræbenson” di Giuseppe Quaranta, Blu Atlantide, 2023

Tra saggio e romanzo, tra indagine e resoconto, nel mezzo di mille specchi nei quali l’uomo viene sezionato per essere studiato nelle sue deformazioni. La sindrome di Ræbenson è un libro che trasporta il lettore tra pagine che disperdono le certezze quotidiane.

Esiste o non esiste una situazione morbosa che rende longevi, anzi immortali? E soprattutto come reagirebbe chi ne è affetto, visto che il primo ostacolo da superare sarà sopravvivere anche ai propri cari?

Ecco, partiamo dal fatto che siamo davanti a una storia di fantasia. Il protagonista è uno psichiatra che si interessa di questa sindrome, di cui soffre un suo collega, Antonio Deltito, che, a sua volta, sta cercando di capire qualcosa di più sulla “misteriosa malattia” che lo affligge. Addirittura, nel corso degli anni, si sarebbe costituito un gruppo segreto di scienziati, i ræbensonologi, che starebbe mettendo insieme diversi studi sulla sindrome.

Insomma, in un primo momento il protagonista penserà che tutto sia frutto delle farneticazioni di un dissociato in preda a vuoti di memoria e deliri, invece, dopo il suicidio di Deltito inizia a mettere i pezzi in fila e tutto diventa chiaro, o quasi.

Eccoci davanti a un libro che mescola le categorie e le classificazioni, perché parte da prove scientifiche, da argomenti ormai oggetto di studio che si legano a interpretazioni sulle quali ci sarà tanto da riflettere. Ciò che potrebbe sembrare un guazzabuglio è, invece, un romanzo in cui l’autore ha creato volontariamente un equivoco, facendo del verosimile e dell’ipotesi prove inconfutabili del “non detto”. Proprio questo spingerà il lettore ad andare fino in fondo, perché pagina dopo pagina non capirà cosa sia vero e cosa sia falso.

La scienza non pone limiti, però dà poche possibilità a ciò che mette in pericolo le proprie fondamenta. L’indagine del protagonista di questo libro è sull’uomo, sulle sue emozioni, sull’anima. Esiste l’eternità? Pezzi delle nostre emozioni resistono alla morte? La memoria si dissolve o qualcosa si incarna in altro? Pertanto, “il mito della malattia mentale” è stato costruito ad hoc per rendere la realtà unidimensionale e controllabile dal potere?

Quaranta, che di professione fa lo psichiatra, si pone queste domande e le fa confluire in un personaggio che cerca, pur sapendo di non poter arrivare al dunque. Che esista o meno, la sindrome di Ræbenson va oltre i limiti che la scienza ha posto. Se anche lei fosse, sarebbe impossibile da spiegare, perché questo “Io” costruito su basi cedevoli, che vengono continuamente ristrutturate, non può accettare l’eternità, nonostante la cerchi da sempre. Il nostro sistema però è stato costituito sulla dicotomia vita-morte, oltre questo non si può andare. Non è mai stato pensato un “Piano B” che contempli l’immortalità dell’uomo.

Vivono male coloro che sono affetti da questa sindrome, perché pur sapendo cosa hanno, non posso liberarsene, non possono dirlo; possono solo essere inseriti in una delle tante categorie che la psichiatria ha creato per dirigere il mondo. L’unica cosa che può liberarli dal proprio male è il suicidio.

Come detto, tra queste pagine, nascoste sapientemente tra le supposizioni del protagonista e tra gli intrecci narrativi, troveremo tutte le teorie che Freud, Jung, Hillman, Lacan, Fachinelli e Laing (ma sono sicuro che c’è molto di più) hanno messo in circolo e che ancora oggi continuano a manifestarsi in altri campi. Tale commistione ha già aperto interessanti dibattiti tra gli esperti di neuroscienze, anche in quel contraddittorio transumanesimo che stuzzica la fantasia di troppi.

Terminato il libro di Quaranta, ammetto di essermi trovato in difficoltà, perché se è pur vero che si tratta di un’opera di fantasia, non si può mettere in dubbio il fatto che questo romanzo superi limiti e steccati, suggerisca letture di altri libri, dia la possibilità di fantasticare, ma anche di unire certi tasselli.

L’unica pecca: che come ogni libro frutto di un oltrepassamento, anche La sindrome di Ræbenson delinea un ipotetico profilo umano che può esistere, in quanto pensato e scritto, così come può essere solo un frammento del sapere ancestrale. Poi chissà, forse anche l’autore fa parte dei ræbensonologi, ma non può dirlo.

 

Post correlati