Poveri a noi. Elvio Carrieri e il “ballo scanzonato della disillusione”

Poveri a noi. Elvio Carrieri e il “ballo scanzonato della disillusione”

Recensione Martino Ciano. In copertina: “Poveri a noi” di Elvio Carrieri, edizioni Ventanas, 2024

Un romanzo di esordio di un ventenne al quale va dato il merito, anche tenendo conto delle piccolissime ingenuità, di aver lavorato sodo sullo stile, con l’intento di creare una voce personale. Poveri a noi infatti è un romanzo di confine, in cui si mischiano denuncia sociale e abilità narrativa.

Ambientato a Bari, città che appare in caduta libera, i due giovani protagonisti, Libero e Plinio, sono espressione di una indolenza tipicamente contemporanea che assale una generazione disillusa, sempre più innamorata di una lettura cinica della realtà.

Già questa prospettiva rende il romanzo genuino, vista l’età dell’autore, classe 2004, in quanto ci fa avvertire la “naturalezza” di un certo pensiero e del linguaggio usato. Sebbene i due personaggi siano quasi trentenni,  quindi più toccati dalle esperienze della vita, essi non appaiono costruiti, ma drammaticamente veri.

Il taglio ironico della scrittura di Elvio Carrieri rende tutto scorrevole, ma anche pregno di un menefreghismo che non ha l’intento di liquidare con leggerezza problemi ben più gravi quali la malapolitica, il disagio giovanile, la fragilità dei rapporti umani o la disillusione che potrebbe rendere tali argomenti dei riempitivi. Infatti, lo scopo è solo quello di mostrare lo status di un’intera generazione. I guai si annidano e lavorano nell’inconscio, nei pensieri, mettendo in mostra una gioventù che non si fida del dialogo aperto, ma che si trincera dietro certi steccati per mantenersi lontana dalla retorica degli adulti.

È ciò che prova Libero andando tutte le mattine a insegnare letteratura in un carcere, comprendendo che quel lavoro non serve a nulla. Lo constata quotidianamente anche Plinio, solitario da quando alle scuole Medie fu vittima di bullismo. E proprio lui, il cosiddetto “poveretto” che alimenta con la “pena” la filantropia dei benpensanti, nel momento in cui si fida degli adulti, paga le colpe della madre, finita nel registro degli indagati per una questione di “mazzette e scambi di favori”.

Anche Libero è un figlio tradito da un padre che lui credeva idealista, visto che aveva detto di abbandonare la famiglia per andare in Bielorussia a combattere il Grande Dittatore, invece si scoprirà che l’uomo gironzolava per l’Europa fiero del suo status di “felice vagabondo”.

Per quanto riguarda l’ambientazione, Carrieri resta nella sua Bari, città che somiglia alla Roma che Petronio descrive nel suo Satyricon. Da qui anche lo stile usato che, con disinvoltura, ci strapperà molte risate e in cui il dialetto si fa istrionica sintesi della decadenza.

Insomma, l’esordio del giovanissimo scrittore pugliese merita tante attenzioni, perché contiene già i semi di una voce originale, che non si appiattisce su schemi già triti e ritriti, e che non cade mai nella banalità. Di sicuro, alla base ci sono le ottime letture che Carrieri ha fatto e di cui ha appreso velocemente alcuni parametri.

Anche in questo caso, potremmo fare molti esempi, ma vi toglieremmo il gusto di una lettura sorprendente.

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