Estranei. You are always on my mind

Estranei. You are always on my mind

Recensione di Antonio Maria Porretti

Le vite immaginate e sognate, percorse calcando le orme di ciò che non è avvenuto, che non si è avverato, quelle vite rimaste racchiuse dentro il guscio di un desiderio inappagato, oppure smembrate da traumi inespugnabili, da ferite che lasciano sgorgare un flusso di rimpianti, quanto possono incidere e determinare il corso della realtà qui e ora?

Con Estranei, Andrew Haigh prova a fornire se non una risposta, quanto meno un esempio: se…

Se i genitori di Adam non fossero morti in un incidente stradale quando aveva dodici anni; se li avesse ancora accanto e le possibilità di confrontarsi con loro, adesso che è un uomo adulto, non gli mancassero; se non annegasse in una solitudine che non gli lascia né scampo e né tregua, accompagnando le sue notti con canzoni della sua prima giovinezza, tipo “The Power of Love” dei Frank goes to Hollywood ; se la sua mente non seguitasse ad arrovellarsi di fronte a un rompicapo di perché…

È doloroso accettare. È lacerante ricominciare. E seppellirsi nei propri ricordi invece com’è?

Poi, l’imprevisto: un estraneo che bussa in piena alla sua porta. Anche lui disperso nel silenzio di quell’enorme grattacielo di Londra. Anche lui bisognoso di un contatto umano vero.

Su queste fragili e evanescenti impalcature narrative, Andrew Haigh innesta un film di una delicatezza soggiogante, con sfumature gotiche dove le assenze tornano a essere corpi vivi e reali. I genitori di Adam si riappropriano della loro casa, ritrovano il loro posto nella sua vita.

Quel rapporto spezzatosi con tanta e imponderabile brutalità in una notte di dicembre, tra la vigilia e il giorno di Natale di dodici anni fa, ritorna come per incanto. Nutrito da esplorazioni e scoperte reciproche. All’insegna del chi eravamo e chi siamo.

Harry invece chi è?

Soltanto l’unico vicino di casa di Adam? Un miraggio che potrebbe finalmente offrirgli quell’amore tanto desiderato e mai trovato, dove paura e attrazione sono estremità di una stessa corda che si annoda da sola? O tutti e due?

Harry è più giovane di Adam, vive con più tranquillità e rilassatezza la sua omosessualità, non a caso ama definirsi – e dichiararsi “Queer” anziché ” Gay”, marcando una distanza non solo di tempo, ma soprattutto di una mentalità più morbida e tollerante, meno censoria nei confronti di sé stesso.

Eppure è lui a esercitare un ruolo più paterno; a condurre per mano Adam verso un incontro dei loro esseri, nonostante un primo approccio fallimentare. Come se la sua presenza avesse la funzione di recuperarlo e riportarlo all’attualità della sua esistenza.

Ed è qui che la dimensione onirica riprende il sopravvento. Non è facile per lo spettatore districarsi in questa continua alternanza di “Flash for a Shadow”e piani reali. È una confusione voluta, abilmente orchestrata per introdurlo e saldarlo a quella condizione di spaesamento dentro cui vive Adam; estraneo e all’esterno della propria vita.

Non voglio dilungarmi oltre sulle filigrane emotive che fluttuano all’interno della trama. Non è mia intenzione anticipare troppo, a danno di una eventuale curiosità da parte di chi il film non l’ha ancora visto. A tale proposito, segnalo che la pellicola è tutt’ora disponibile su Disney Channel.

Mi preme di più soffermarmi invece, sia pur brevemente, sul quartetto di attori impegnati a dare corpo e anima a una storia che non è una classica storia di amore. Andrew Scott e Paul Mescal in primo luogo, rispettivamente Adam e Harry. Superlativi nel cesellare a tutto tondo i propri personaggi.

A essi va tutto il merito di mostrare senza reticenza, quanta dolcezza possa scaturire in una relazione fra due uomini. La sintassi di sentimenti con cui intrecciano il loro rapporto, si sbarazza di ogni stereotipo, di ogni voyeurismo e ammiccamento. Bravissimi anche Claire Foy e Jamie Bell, si proprio lui, l’indimenticabile Billy Elliot, come genitori di Adam.

Per concludere, un film che si insinua nelle pieghe più profonde del cuore e della mente; che avvince e emoziona forse perché nella vita di ognuno di noi c’è qualche amore che non è stato: you are always on my mind, you are always on my mind…

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