Joan Didion. L’anno del pensiero magico. Il Saggiatore

Joan Didion. L’anno del pensiero magico. Il Saggiatore

Recensione di Antonio Maria Porretti

Succede così, di colpo e senza preavviso; con la morte che s’intrufola dentro casa tua mentre stai rientrando insieme al compagno di una vita dall’ospedale dove c’è tua figlia – che non sai se arriverà a domani- e lei. Intanto, la morte si è già autoinvitata, anche se non hai nulla di pronto. E mentre stai servendo una cena frugale, lui di colpo si zittisce e chiude gli occhi.

È così che è successo a Joan Didion la sera del 30 dicembre 2003, appena rincasata nell’appartamento in pieno Upper East Side e condiviso per quarant’anni assieme al marito. Lo scrittore e sceneggiatore John Gregory Dunne, di ritorno dal Beth Israel Medical Center perché la loro figlia adottiva Quintana è stata colpita da una gravissima forma d’infezione polmonare, tenendola sospesa a un filo. È così, per un arresto cardiaco fulminante,  seguito da un ricovero più di forma che di sostanza presso il New York-Presbiterian Hospital, che lei assiste in diretta al decesso di lui. Da questo black-out che annienta ogni punto cardinale dell’autrice, inizia “L’anno del pensiero magico”. Cronaca di un dolore, ma non solo, resoconto in chiaroscuro di ricordi, prontuario di domande alla ricerca di un perché e come, diagramma di sensi di colpa per aver sorvolato su certe avvisaglie che pur si erano manifestate in passato, manuale di sopravvivenza di cui “l’osso duro” Joan è la prima a dubitare della sua efficacia.

Parole scagliate sugli spazi bianchi di un file che le alitano sul collo, sfregano la sua pelle, la strattonano provocandole squarci e ferite che non fa nulla per nascondere, ma non per suscitare compassione in chi le leggerà, non sarebbe nel suo stile, quanto piuttosto per ricordare a se stessa e a noi che la morte ha la prerogativa di essere anche banale, quando vuole e lo decide; che sa presentarsi in abiti dimessi, mostrarsi trascurabile, confondersi tra la folla, per compiere la sua scelta. Di questo testo ne fu realizzata una versione teatrale nel 2007, con Vanessa Redgrave.

Giornalista, scrittrice, saggista e sceneggiatrice, esponente di punta del New Journalism, dove l’asetticità della notizia viene annullata dalle emozioni vissute sul campo dai testimoni oculari che la comunicano, Joan Didion si è spenta all’età di 87 anni, il 23 dicembre 2021, per complicazioni dovute all’insorgere di un Parkinson rivelatosi letale per uno stato di salute già precario come il suo, minato da tempo dalla sclerosi multipla. La vita o il fato ha voluto renderla protagonista di un secondo appuntamento con la morte: la scomparsa della figlia Quintana nel 2006, dopo un calvario vissuto tra cliniche e ospedali a causa di quella infezione polmonare contratta il 25 dicembre 2003, e che non l’avrebbe più abbandonata. “Blue Nights” ne è il resoconto, formando con questo titolo un tragico dittico che solo un osso puro e duro come Joan Didion poteva avere la forza e il coraggio di comporre. Voglio sperare che ovunque lei ora si trovi, abbia potuto ampliarlo in un trittico non più divisibile. Almeno per lei, dicembre avrebbe tutto il sapore di un mese magico.

Post correlati