Hypsas. Valerio Mello e la “natura delle cose”

Hypsas. Valerio Mello e la “natura delle cose”

Recensione di Martino Ciano

Anche le pietre e le tombe hanno memoria. Nel suo costante fluire, il tempo modifica la materia e ogni fiume diventa la metafora dell’esistenza su cui permane il velo dell’eternità. Valerio Mello delinea bene l’immagine del poeta-vate che vuole raccontare e insegnare la lezione che ha appreso, l’intuizione che gli ha spalancato il varco che unisce e mescola remoto e presente.

Ma poniamo un attimo la nostra attenzione sul verbo “insegnare”, qui utilizzato non per sottolineare un atteggiamento presuntuoso o per assegnare un ruolo che l’autore non si attribuisce, ma per indicare una persona che non può tacere davanti a ciò che ha visto, che non può tenere per sé quello stupefacente momento in cui l’eternità si è manifestata.

Non bisogna cercare luoghi particolari o dimensioni adiacenti per venire a contatto con l’ispirazione, anche davanti ai loculi dei nostri moderni cimiteri come davanti ai monumenti funebri del passato, il significato che ci giunge è lo stesso: essere nel divenire pur percependone solo una parte. È dopo aver aperto questa botola sempre lì, a nostra disposizione, che possiamo scendere e inabissarci, o forse risalire, contravvenendo alla logica, verso l’unione di ogni elemento che si manifesta in sostanza, pensieri, idee e concetti.

Dov’è il limite? Questo ci fa chiedere Mello attraverso i suoi versi, che si legano l’uno all’altro senza possibilità di suddividerli in citazioni, in frammenti da estrapolare. Non c’è divisione che tenga in questo eterno dialogo che la Necessità intrattiene con se stessa, con ciò che mostra e ciò che ha concepito negli abissi di ogni principio percepibile.

Folle per l’uomo ricostruire, comprendere, imitare questa forza che ci sovrasta. Tutt’al più egli sente, avverte, comunica la propria esperienza in maniera goffa; la poesia aiuta, ma è pur sempre imprecisa e tentennante, perché si limita a catturare il riflesso di un fenomeno che è già altro.

Ci dice anche questo Mello, dopo aver imparato a proprie spese la lezione e dopo essersi sgolato nel mezzo della relazione instauratasi tra ciò che chiamiamo “vita e morte”. Fatto sta che, al di fuori di tutto, la natura delle cose resta un mistero. Infatti, in quell’Unità a noi sconosciuta, altri fattori pongono l’uomo, quindi anche il poeta, in una sapienza sciocca, che si compiace dell’accumulo, che non ha nulla di diverso dalla stoltezza.

Così la poesia di Mello non ha un fine vero e proprio, se non quello di porre tutti davanti a un divenire che ci ingabbia e nel quale esistiamo per sempre. Il dramma è che non ce ne accorgiamo.

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