Appunti postumi su una Città matrigna

Appunti postumi su una Città matrigna

Articolo di Guido Borà. Foto di Alfonso Rillo

Una voce dal passato mi chiede: “secondo i dati sul turismo appena usciti, la stagione 2023 è andata oltre le aspettative ma le strutture ricettive si stanno lamentando e la Città non ne sta traendo beneficio, come mai? Se puoi darci un’occhiata, magari prepariamo un’interrogazione da presentare nel prossimo Consiglio comunale”. La vicenda, al momento, non è ancora conclusa ma, più del suo esito, importa notare, ai fini della nostra riflessione, come l’attenzione sui flussi turistici sia diventata un’ossessione per la classe politica. Di conseguenza chi cerca il consenso non si preoccuperà di presentare i dati in modo confuso, basta che siano positivi.

Ero tornato in questa Città qualche mese fa, meno di corsa del solito, e avevo avuto la percezione di un tessuto urbano sofferente: molti negozi del centro erano chiusi, le strade carrozzabili e pedonali piuttosto malridotte con alcuni angoli deserti. La pandemia ha lasciato ferite profonde e anche il 2010 non è stato da meno, ma non ne vorrò parlare perché è mia intenzione tralasciare le vicende contingenti per ripercorrere insieme, arditamente, qualche secolo di storia. Alla fine del percorso scopriremo una cittadina affascinante, culla di alcuni importanti concetti economici, lontana da tutti gli stereotipi e dall’oleografia dominante. In questa brevissima riflessione, senza pretese di ricostruzioni storiche, vorrei offrire una chiave di lettura di un luogo a me molto caro in cui ho vissuto a fasi alterne, in un arco di quasi quarant’anni, senza esserne stato ricambiato.

Bene comune, primato della politica, buon governo, contrasto dell’usura e libero mercato sono concetti politici ed economici attuali. La loro elaborazione o discussione è avvenuta in questi luoghi, con una certa continuità nel tempo, a partire dal Medioevo. La grande piazza, fulcro della Città, si presta a numerose letture ed è stata, e lo è ancora, teatro di eventi di ampia risonanza. Il Palazzo Pubblico del 1297, sede della Repubblica, è il simbolo dell’epoca dei Comuni. Al suo interno vi è un importante ciclo di affreschi sull’Allegoria e gli effetti del buono e del cattivo governo, risalente al 1338, primissimo esempio di pittura civile.

Gli effetti del Buon governo, con una certa evidenza, rappresentano gli obiettivi politici della classe dominante del tempo: la floridezza della campagna e della Città. Nelle strade prosperano i commerci, i mestieri e lo studio; in campagna i contadini lavorano in sicurezza e le messi sono rigogliose. Una particolare cura è dedicata al decoro urbano, un concetto simile fu perseguito in modo maniacale con fini mercantilistici da Venezia. Al contrario, il Cattivo governo avrebbe impoverito la Città e la campagna minando la sicurezza della popolazione.

Il palazzo è posizionato come spartiacque tra due piazze: la prima, più importante, considerata il simbolo della partecipazione pubblica, la seconda sede dei commerci e dei mercati. La netta distinzione tra politica ed economia, anzi il primato della politica sull’economia, fa capolino e si rivela un concetto molto antico e così potente da modellarne l’assetto urbano.

Nel cuore del palazzo, dal lato di piazza del Mercato, e di epoca precedente alla costruzione del Palazzo Pubblico, vi era la sede del Bulgano, una zecca tra le più antiche in Italia. Questa istituzione così precoce e duratura nel tempo (dal 1180 al 1559) mostra come la vocazione finanziaria, oltre alle consuete attività commerciali, sia stata la sua cifra distintiva. Le miniere di Montieri e Roccastrada fornivano disponibilità di argento e rame, una circostanza importante ma non decisiva in quanto sicuramente ha influito di più sulla ricchezza la tradizione civica.

Osservando la piazza emerge un aspetto “laico”: diversamente da altre città, il Duomo non si trova nella stessa area del Comune ma in posizione più defilata. A un centinaio di metri svetta, su una collinetta di arenaria, la Cattedrale di Santa Maria Assunta dalla tipica bicromia bianco nera. L’edifico è circondato da alte navate (tra cui il facciatone) di una struttura mai finita. Siamo nel 1348 e la Città, al massimo del suo splendore, fu colpita da un’epidemia di peste durata cinque mesi. La popolazione ne uscì decimata con una stima di ottantamila morti. La peste nera, flagello di tutta l’Europa, restò endemica per qualche tempo e la Città faticò a tornare agli antichi splendori. Il nuovo Duomo restò incompiuto e fu terminato in versione ridotta molto tempo dopo: furono decisivi l’impoverimento del tessuto economico e la scarsità di manodopera. La scelta dei terreni su cui sarebbe stato edificato si rivelò un’aggravante, perché poco adatti a sostenere un edificio dal peso così grande.

È mia premura fare riferimento a un evento di grande portata per l’epoca ricordato con ironia, ma molto sommariamente, da Curzio Malaparte nel libro Maledetti toscani. Nel 1425 per 35 giorni di seguito, Bernardino predicò nella sua Città su invito delle Autorità comunali. Nelle sue prediche volgari trattò molti temi quali la vanità, dell’elemosina, del bene comune, delle qualità morali dell’uomo politico e sull’etica imprenditoriale.

I francescani, con il loro voto di povertà volontaria, sono stati costretti a riflettere – si veda, ad esempio, il provenzale Pietro di Giovanni Olivi – su tematiche quali le libertà civili, il giusto prezzo, l’utilità sociale della mercatura, l’interesse, il valore e la moneta, con concretezza rispetto all’approccio teorico della Scolastica tradizionale. E allora le bolle di sapone che uscivano dalla bocca di Bernardino, portavano alla folla il messaggio della condanna all’usura e della vanità, un classico della predicazione francescana, ma ancor più rilevante in quanto contraddice una visione della Chiesa ostile al mondo degli affari, l’elogio dell’attività della mercatura che se condotta con onestà sarebbe volta al bene comune.

Su un palazzo del centro c’è una lapide con questa dicitura: “Modesto propugnatore dei liberi scambi fondò la scienza economica”. Ora, che cosa formulò di così importante il canonico Sallustio Bandini per assurgere a fondatore? Nel Discorso sopra la Maremma del 1737 tornò su temi di suo maggiore interesse “personale” e descrisse la decadenza della Maremma imputandola alla politica annonaria, ormai in mano a un’altra Città. Il Magistrato dell’abbondanza teneva bassi i prezzi del grano con politiche di acquisti e vendite. I prezzi bassi scoraggiavano la produzione e riducevano le rendite; la produzione era scarsa e, per evitare ulteriori carenze, si vietò il commercio alla vela, ossia le esportazioni. Per superare la crisi della produzione, una persistente carestia e il degrado delle campagne, egli propose alle autorità, di permettere le esportazioni, che avrebbero garantito afflusso di moneta per pagare i tributi, e di liberalizzare il commercio interno, tramite una licenza perpetua delle tratte. La proposta era decisamente innovativa per l’epoca: la politica annonaria andava circoscritta all’acquisto del grano per sostenere il prezzo solo in caso di abbondanza e alla vendita solo in caso di carestia. Un propugnatore del libero mercato ante litteram, a lungo inascoltato dal potere granducale.

Nel Secondo dopoguerra la Città è stata uguale e, contemporaneamente, diversa: la ricchezza era basata sempre sull’attività bancaria, sulla campagna e sull’attività universitaria.

Chiusa su se stessa e vittima di una “drammatica” carenza infrastrutturale “auto inflitta” si è gradualmente allontanata da tutto, come dicevamo da studenti e, all’improvviso, sull’onda della Grande crisi finanziaria, è arrivata la resa dei conti. Di conseguenza il turismo è diventato l’ancora di salvezza, amplificando una tendenza iniziata da tempo, come si nota sfogliando l’enorme mole di pubblicazioni disponibili sul portale della Regione. A dire il vero non è proprio così, anzi c’è una visione del futuro diversa, fortemente tecnologica e più in linea con le sfide dell’economia globale, ma al momento, la sua realizzazione sembra irta di difficoltà a causa di un certo disinteresse dell’amministrazione in carica e, quasi sicuramente, per le esigue risorse rimaste.

Diversamente da quanto suggerisce il senso comune, un passato glorioso non è garanzia di un futuro luminoso e sulla scia di questa amara riflessione vorrei lasciarvi con questo interrogativo: qual è il messaggio che sarà lasciato ai posteri?

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