Diario di una prof: “Tempo di saggi teatrali”

Diario di una prof: “Tempo di saggi teatrali”

Racconto e foto di Daniela Grandinetti

Premessa

Il teatro a scuola dovrebbe essere inserito in un sistema integrato ed essere per tutti. Molti fondi arrivano a pioggia sulle istituzioni scolastiche al grido di parole come: inclusione, orientamento e una serie di acronimi e tecnicismi fumosi che formano un glossario nutrito che può disorientare e che spesso, diciamolo, non ha ricadute reali.

Ecco: forse basterebbe il teatro e molte cosiddette “buone pratiche” troverebbero una loro ragione di essere con risultati inaspettati. Corpo, autostima, cultura, socializzazione, insomma: centro con un colpo solo. Ringrazio la buona sorte e la mia curiosità innata che mi hanno parzialmente aiutato a usare tecniche teatrali nella didattica quotidiana.

Una sera di tanti anni fa

Stasera il mio diario prende la strada del passato: nell’aula c’era sole, questo lo ricordo bene. Il resto è indistinto, non saprei dire su cosa stessimo facendo lezione, sono passati troppi anni.

G. entra in classe e da subito fu chiaro che era un ragazzino particolare: alto, biondo, capelli rasta, occhi e pelle chiarissimi, fare impacciato, spalle leggermente ricurve. Si era trasferito da un altro istituto, eravamo ai primi dell’anno, aveva capito che l’indirizzo che aveva scelto non faceva per lui.

Così eccolo arrivare in quella “prima” formata in gran parte da ragazzine agguerrite, lui timido e schivo. Leggeva malissimo, scriveva peggio, faceva fatica a integrarsi, studiava poco, aveva un’organizzazione pessima, autonomia inesistente.

Di G. ricordo in particolare i temi di italiano: era pieno di idee, di spunti, di cose da dire, ma non sapeva dar forma al caos. Per farlo aveva bisogno di un procedimento dialettico, ovvero lui parlava, io interagivo cercando di suggerire senza dire troppo, lui scriveva e così si procedeva. Il più delle volte G. era testardo e andava comunque per la sua strada. Se una cosa gli sembrava giusta da dire la scriveva a modo suo, non importava come, e spesso non capiva quale fosse il limite oltre il quale bisognava pur rendersi conto di ciò che c’era da imparare, che non bastava “sentire”, bisognava anche esprimerlo decentemente.

Stasera pensavo a quel ragazzino, mentre sul palcoscenico un ragazzo bello, alto, con una bellissima voce perfettamente modulata sciorinava versi di Baudelaire, di Ferlinghetti, di Garcia Lorca e perfino di Vincenzo Cardarelli. Ha uno stile attoriale dolce e suadente quando legge e recita versi, ma può diventare rude e aggressivo nei ruoli, ovvero ciò che nella vita non è.

G. è diventato un ottimo attore, ma non solo: è anche un educatore che segue ragazzi problematici, è questo il suo lavoro e fa bene entrambe le cose, dotato com’è di grande sensibilità.

È stato il laboratorio teatrale scolastico a fare di G. quel ragazzo che stasera sul palco vince e convince. Un laboratorio promosso all’interno della classe dapprima, della scuola poi. È stata anche la mia prima esperienza di un laboratorio teatrale a scuola con l’aiuto di un attore e regista teatrale. È stata una delle esperienze più estenuanti e nello stesso tempo più belle di tutta la mia carriera scolastica.

Il talento di G. stava lì, nella recitazione. È diventato primo attore di quel laboratorio e lo è stato per qualche anno. Ricordo che non capiva sempre il senso delle parole, ma non importava, perché dove non arrivava con la testa, lui arrivava con la pancia. Era un animale, un istinto e sul palcoscenico tutta la sua insicurezza spariva ieri come sparisce oggi.

G. alla fine si è diplomato egregiamente e ha fatto tanta strada da allora. È diventato un bellissimo ragazzo sempre pieno di dubbi e con una gran voglia di cercare.

Mi commuove sempre un po’ quando vengo a vederlo recitare, come stasera, che è insieme a un compagno con cui ha formato un duo: Tipi di-versi. Uno suona, trova le note, l’altro recita, trova il colore delle parole.

Si esibiscono per lo più per un pubblico giovane, ed è una piccola rivoluzione, loro che parlano un linguaggio poetico a coloro che poesia non ne ascoltano più.

Esistono molti G. che hanno un talento nascosto da qualche parte, ma troppo spesso passa inosservato, senza gli strumenti o le intuizioni adeguate per scoprirlo e tirarlo fuori.

Ho sempre avuto una inesauribile fiducia in quel ragazzino testardo e cocciuto, guardavo con simpatia alla sua anarchia per altri incomprensibile e mentre osservavo stasera, nel buio della platea, la sua figura ben stagliata sul palcoscenico, così composta, così disciplinata, così concentrata, ho pensato che qualsiasi sarà la sua strada porterò sempre con me quel ragazzino che più di dieci anni fa entrò in classe con la testa chinata, quasi a schivare gli sguardi, incapace perfino di parlare.

Eccolo là adesso. Ti guarda e ti sfida. Un titano.

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