Resurrezione di Eros

Resurrezione di Eros

Racconto e foto di Martino Ciano

Desideravi una cosa soltanto: scendere agli inferi, purificarti in un fuoco savio e poi risalire, infrangendo la regola del “non ritorno tra i vivi”. Sbucciavi preghiere come se fossero mele strappate da un albero immacolato, non vietato, accessibile a bestie in cerca di umanità e a uomini vogliosi di divinità.

Avevi letto racconti apocrifi sul tuo conto, fuorvianti testimonianze di persone che ti avevano visto annientare la vita degli altri. Eri innocente, privo di colpa, di senso del tempo e dello spazio. Da mesi ti eri chiuso in casa; dimoravi in una stanza in cui avevi coperto gli specchi con le lenzuola. Ragionavi su te stesso, non volevi contatti con il tuo corpo, non avresti sopportato neanche che il riflesso di uno specchio ti obbligasse a porti domande sul tuo sacco di carne.

Ti sentivi in carcere, e gabbie con sbarre arrugginite erano la stanza e il corpo. Avresti strappato la pelle, avresti lasciato che le iene divorassero i muscoli, avresti concesso solo una possibilità alla tua anima, a sensazioni vaporizzate, inalate e iniettate. Poi, avresti rimosso tutto, ti saresti perso nei cieli, trasfigurato in una nuvola, immolato al Dio della tradizione, a una processione di paese in cui un coro di ubriachi, per voto, accompagna con canti balbettanti una statua benedetta da poco restaurata.

Camminavi lungo il Monte degli Ulivi, perlustravi la notte in cerca del giovane che indossava solo un lenzuolo di lino. Ma per questo avresti dovuto rispettare il copione scritto da Marco nel suo Vangelo; prima avrebbero dovuto catturarti i Romani, poi avresti visto quel ragazzo fuggire via, perdere il lenzuolo e continuare la sua corsa nudo. Fu il suo corpo la tua croce; ecco perché adesso odiavi la carne, compresa quella che ti rendeva visibile nel mondo, che ti portavi come un gingillo da trattare con cura.

Ti tratteneva lì, nella tua stanza, la forza di un male silenzioso. Ancora oggi, per colpa di quella potenza, che prima di ogni tempo e ogni forma ha stretto il suo patto con Dio, ogni creatura si lascia tentare, purificare, uccidere, maledire e torturare.

Ora, dopo infiniti giorni, cerchi la ragione tra un suono di tromba e l’ultimo raggio di sole che riesce a entrare da una minuscola fessura della tapparella. Ti lasci convertire dalla vita che oltrepassa i muri, mentre la tua ragione vacilla. Sei figlio di due corpi che si erano uniti per vizio, stanchi di dover lottare per sentirsi “alfa e omega” di ogni situazione.

Ai piedi dell’Olimpo, all’ombra della disperazione, quando Povertà incontrò Opportunità, lei aprì le sue gambe e lui la penetrò ridendo, per concludere con entusiasmo un banchetto che avrebbe potuto essere anche l’ultimo. Così nacque Eros, l’amore come desiderio di bellezza, ossia come ciò che esiste solo nei nostri occhi illusi.

Ti sei lasciato andare, ora, solo, incurante del tuo corpo, a questo fantasioso intreccio teologico, mistico, blasfemo. Sei sul balcone della tua casa, nudo. Si eccita il sole; ti accarezza la pelle il cielo. Sei andato all’Inferno e sei tornato sulla Terra senza accorgerti del tuo trapasso. Hai detto a tutti, da quel giorno, che avrebbero dovuto chiamarti Eros.

 

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