Mielina e Carmela. Due allegorie, una quotidianità

Mielina e Carmela. Due allegorie, una quotidianità

Due figure raccontate come sprazzi: “Mielina” e “Carmela” di Ada Giannella

Mielina

Ma che razza di nome è Mielina?
Se lo chiedeva tutti I giorni da quando era nata. Solo perché il miele toglieva le nausee alla madre durante la gravidanza, lei doveva chiamarsi Mielina?
I genitori scemi sono quelli che ignorano le conseguenze. Ti lasciano un tatuaggio che non scomparirà fino alla morte. Un tatuaggio sonoro del quale tutti avrebbero riso, perché assolutamente ridicolo.
L’aveva odiati per questo fino a che si erano ammalati ed erano morti e lei a quel nome si era affezionata, perché di loro rimaneva solo Mielina.
Poi aveva sposato Cremenzio. Lo aveva conosciuto nella pasticceria della zia e se ne era innamorata, nonostante quel nome aggiungesse zuccheri a lei che già ne aveva in abbondanza.
“Zitta Mielì, che fa allegria sta cosa!”
Zia Teresa favorevole all’idillio, sostituiva mamma Stella e papà Luigi che l’avevano resa orfana a quindici anni. Se ne era presa cura come fosse una figlia, la sorella del padre, perché a lei non erano arrivati né Mielina né Miele e pure il marito se ne era scappato.
Mielina e Cremenzio si erano amati come la cioccolata calda con la panna, il bignè con la Chantilly, il bon bon con la crema di castagne.
“Vuoi tu Mielina prendere il qui presente Cremenzio come tuo legittimo sposo?”
Si era permessa di dire…
“Quando smetteranno di ridere, sì!”
Teresa che l’aveva accompagnata all’altare, si era girata di scatto lanciando lo sguardo assassino di cui andava fiera.
Un’occhiata tra il divertito e il perfido. Un silenzio immediato aveva permesso a don Aldo di giungere alla conclusione del rito.
Mielina e Cremenzio si erano baciati e qualcuno aveva sussurrato: “Però comme so’ doce sti due! Me sto squagliann e felicità.”
Erano andati ad abitare da zia Teresa. Lei al piano di sotto e loro a quello di sopra.
Mielina continuava a portare avanti la pasticceria con Cremenzio al suo fianco e Teresa guardava Vaniglio, il bambino bellissimo nato a un anno dal matrimonio.
A volte da un nome dato a caso, senza criterio, con assoluta leggerezza, sperando che porti fortuna, si dà inizio alla felicità.
Per tradizione, a breve nascerà Muffin, una femminuccia.
Sarà doce pure chest?

Carmela

Non so come faceva, ma a lei i fichi le cadevano in bocca direttamente dall’albero e rideva.
– Tu nun fai nient, ci pensa Dio.
E rideva Carmela con la bocca pasticciata di rosso. I frutti lei se li mangiava con la buccia.
– Nun se iett niente, guagliunce’!
E mi strizzava l’occhio. Per un attimo il celeste della pupilla le spariva e vedevo solo il liscio della pelle, le guance scavate, il naso a fragola e una dentatura perfetta. Bella Carmela, zia Carmela anche se non eravamo parenti, la volevo bene. Sempre allegra, di una felicità del niente, pura.
Era stata mollata prima che indossasse l’abito di nozze.
– Chill era nu disgraziat e io so’ Carmela “l’orto di Dio”!
E vuoi mettere? Le credevo, perché la sua terra era speciale: mele, pere, insalata, zucche, uva, fagiolini a ogni stagione doni e doni e doni.
– Io song “l’orto di Dio” e quando vieni cca’ t’aggia fa nu regalo!
Che mamma bella sarebbe stata Carmela, dolce come la marmellata di fichi che mi spalmava sul pane. Invece se ne andò a quarant’anni e vidi l’orto di Dio morire con lei. Niente più risate, né parole contente e i fichi non li mangio più. Se li tenga Dio nel suo orto, l’orto che ha tolto a zia Carmela.
Povera donna, felice di nulla.

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