Marcel Ritrovato. Giuliano Gramigna e il Novecento dimenticato

Marcel Ritrovato. Giuliano Gramigna e il Novecento dimenticato

Recensione di Giusi Sciortino. In copertina: “Marcel Ritrovato” di Giuliano Gramigna, Il Ramo e la Foglia edizioni, 2023

È uscito per Il Ramo e la Foglia Edizioni una nuova edizione di “Marcel Ritrovato”, con nota critica di Ezio Sinigaglia, terzo romanzo di Giuliano Gramigna pubblicato per la prima volta nel 1969. Gramigna, scrittore dalla penna raffinata e acuto critico letterario, è oggi ingiustamente relegato all’oblio. Basti leggere questo romanzo per rendersi conto dell’interesse della sua scrittura. Il ruvido e introverso personaggio Bruno e le descrizioni della Milano degli anni Sessanta, con “una nota agra”, mi hanno richiamato alla mente proprio “La vita agra” di Bianciardi, uscito solo qualche anno prima.

Forse non è una coincidenza che l’aggettivo “agro” ricorra più volte nel libro. Il paesaggio milanese ritratto è quello di figli di papà, ricchi industriali, bauscia e giovani in cerca di fortuna, una società permeata dal mito del self-made man del boom economico e da un certo conformismo borghese. In effetti, il romanzo può sicuramente essere definito borghese, borghesia intrisa di una sorta di senso di colpa che provoca rabbia in Bruno, il quale s’interroga retoricamente: “Le virtù borghesi sono proprio virtù cristiane?”.

Bruno, lettore appassionato e scrittore in erba, evidenzia un chiaro elemento autobiografico; pure il riferimento a Proust è evidente sin dal titolo. “La Recherche” per Bruno è “ideale stampo interpretativo” non solo in letteratura. Lo stile è molto raffinato, non arcaico, c’è ricerca e autorialità. L’attenzione ai dettagli, lo sforzo di cogliere una sensazione che riporta a un altro tempo; il tempo, appunto, la memoria e gli oggetti che evocano ricordi e sensazioni resi tramite elaborati e raffinati costrutti ipotattici sono molto proustiani.

Un Proust molto italiano però. La memoria e poi il vizio o difetto proustiani sono elementi uniti da Gramigna con mirabile arte di sintesi: “È spesso da un vizio della memoria che vengono fuori i ricuperi del passato, anche questo me l’aveva insegnato Proust”. La seconda parte del romanzo ambientata a Parigi alla ricerca di Monsieur Marcel Galimberti, sembra più influenzata da Joyce che da Proust, con la virata da un tipo di scrittura psicologica (o psicologista) verso una più grottesca.

Anche il narratore mostra una mutevolezza interessante, passando da un punto di vista interno a uno esterno, gestito con maestria. Bruno, lo scrittore non professionista che con una punta d’amarezza dice “Verrò ricordato come l’uomo che arriva sempre vicino a ciò che desidera, senza ottenerlo”, è chiaramente un alter ego dell’autore.

In effetti, Gramigna, purtroppo, sembra essere oggi ingiustamente dimenticato, nonostante la qualità della sua scrittura e delle sue opere. A proposito, la storia letteraria è piena di profezie auto-avveranti, come quella di Pasolini che in diverse sue opere presagisce la sua tragica morte con fatale precisione, o di Bianciardi che, similmente a un personaggio de “La Vita Agra”, muore solo e malato a Milano, per non parlare di Italo Svevo che termina “La coscienza di Zeno” con l’esplosione di una bomba mai vista, micidiale, prima ancora che si parlasse di atomica. Ma si sa, la scrittura non è un atto di magnanimità verso chi scrive, e nemmeno verso la storia e i personaggi, lo è nei confronti dei lettori.

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