Malapace. Francesca Veltri e “il peso delle scelte”

Recensione di Martino Ciano già pubblicata per Gli amanti dei libri. In copertina: “Malapace” di Francesca Veltri, Miraggi, 2022. Il libro ha vinto il Premio Muricello, tenutosi a San Mango d’Acquino il 17 agosto 2023
Amici di infanzia, poi uomini che hanno fatto scelte diverse, infine prigionieri che devono essere giudicati. Si assolvono e si giustificano, prima di tutto con loro stessi; sperano che anche la storia, ossia la memoria degli uomini, sia clemente con loro. François è un convinto pacifista; durante l’adolescenza aveva abbracciato il comunismo, anche andando contro quel cattolicesimo che lo aveva ingabbiato per un periodo nella disperazione, nella paura di rimanere sempre un peccatore in attesa di giudizio. Antoine, invece, è un cinico-per-necessità; da bambino, per sfuggire dalle grinfie del dolore, ha deciso di indossare la maschera della brutalità e dell’autoritarismo, violentando e addestrando sé stesso.
François non vuole uccidere, non vuole versare il sangue del prossimo, non vuole sporcarsi con la guerra. Per questi motivi deciderà di accomodarsi dietro una scrivania degli uffici del Governo di Vichy, ombrosa Repubblica della Francia meridionale, che dal 1940 al 1944 fu al soldo della Germania nazista di Hitler. Così, pur rimanendo pacifista, anche se non più comunista, pur decidendo, moralmente, “di non sabotare e di non aderire”, François è convinto di aver agito a fin di bene. Non ha ucciso materialmente, non ha denunciato i sabotatori, non ha tradito. Ha solo dovuto tapparsi gli occhi e le orecchie davanti alle ingiustizie commesse da altri, ma “fa niente, anche questa è pace”.
Antoine invece ha scelto, non si pente del tutto di essere stato nella Légion des Volontaires Français, la legione francese al servizio delle milizie tedesche. Non sa spiegare correttamente perché lo ha fatto, o meglio parte da dei presupposti ideologici, ossia l’anticomunismo, l’odio verso gli ebrei, l’amore per il rischio, ma perché gli piacesse torturare, anche se ha sempre controllato la sua violenza, o perché non provasse rimorsi ma solo una vergogna passeggera, non riesce a dirlo con chiarezza. Quando incontra François, che si sente eticamente superiore, inizia una guerra psicologica contro il suo amico d’infanzia. Da buon cinico torturatore quale è, Antoine è laconico, schiva le domande del suo ex compagno, il quale invece inizierà a ricordare cos’era prima, a chiedersi cosa è diventato e a demolire pian piano le sue convinzioni.
Francia, 1944. La guerra sta per finire; i nazisti stanno per capitolare, ma né François né Antoine ne sono consapevoli. Da una parte, il campo di internamento li tiene lontani dalla realtà, dall’altra quello è il peggior tribunale nel quale potessero capitare, persino più terribile di quello che provvederà a giudicarli. Entrambi sono ufficialmente dei collaborazionisti dei tedeschi, ma ognuno di loro crede il più possibile di aver fatto la cosa giusta. Credono, ma non ne sono ciecamente convinti e man mano che la fede vacilla, ecco che viene fuori l’uomo con le sue debolezze.
Francesca Veltri, autrice di Edipo a Berlino, pubblicato da Divergenze, mette nuovamente in scena un teatro dell’assurdo in cui tutto oscilla tra “crudeltà” e “indifferenza”. La scelta, questione etica per eccellenza, è il campo sul quale si combatte quella guerra umana in cui le contraddizioni diventano aporie, ossia problemi irrisolvibili. Al termine del romanzo, il lettore attento potrà porsi solo una domanda: esiste la scelta giusta?
François e Antoine non sono né buoni né cattivi, né giusti né ingiusti, sono semplicemente uomini. Muovono i loro passi tra opportunità e ideologia, tra moralismo e menefreghismo. Non cercano la pace, ma provano a sopravvivere; non vogliono morire, e anche quando invocano la morte, essa appare come una comoda scappatoia che permetterebbe loro di “non dovere più scegliere”.
Veltri pone in primo piano la figura di François. Lui è il protagonista, sua è la voce narrante. Racconta i fatti, ci fa tuffare nei suoi ricordi. Ora cattolico, ora comunista, ora sospinto da una pulsione omoerotica; ma tutto si svolge sul filo teso della necessità di sentirsi accettati, e questa è una sensazione che prova anche Antoine. Nei suoi pochi dialoghi, la mostra senza indugi. In questo modo, l’autrice cosentina ci fa vedere la Storia come somma di “fatti, sensazioni e istinti umani”, che, parafrasando Hegel, è anche svelamento delle contraddizioni. Fatto sta, che per il filosofo tedesco la storia, nel suo incedere, risolve queste contraddizioni, ma nella sostanza così non è.
Forse anche questa è una scelta?