Il colore delle foglie d’autunno di Sergio Sinesi

Il colore delle foglie d’autunno di Sergio Sinesi

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Il colore delle foglie d’autunno” di Sergio Sinesi, Il Ramo e la Foglia, 2024

C’è chi sostiene che la storia non si ripeta mai allo stesso modo, così come c’è chi è convinto che certi accadimenti “siano necessari”, anche se crudeli. Di sicuro, in nessun modo possiamo prevedere gli eventi, tanto meno la piega che prenderanno, ma una cosa possiamo farla: “usare il passato come farmaco con cui tenere a bada possibili derive”.

Leggendo “Il colore delle foglie d’autunno” mi sono più volte detto quanto poco abbiamo fatto i conti con la nostra Storia e quanto sia difficile uscire da certe diatribe ideologiche. Un certo infantilismo perdura tra intellettuali e incalliti revisionisti. La storia però non è una sequenza di fatti ma è l’essenza dell’uomo, nonché la rappresentazione concreta di tutte le sue contraddizioni.

Il romanzo di Sergio Sinesi è quindi volutamente contraddittorio, nel senso positivo del termine. La protagonista, Vittoria, si convince che lo zio Vittorio non sia morto ad Auschwitz. Lo comprende pian piano, quando la mamma Clara le chiarirà alcuni aspetti del passato. Infatti, Clara è stata figlia di un pezzo grosso del partito Fascista e suo fratello Vittorio, nel tentativo di fare attraversare il confine italo-svizzero ad alcuni ebrei, tra cui Samuele, viene scoperto e fermato con i fuggiaschi dai nazifascisti. Vittorio non ci penserà due volte: salva Samuele scambiando abilmente le loro identità.

Insomma, il figlio del fascista salva “l’ebreo”, che a sua volta sposerà Clara e da cui nascerà Vittoria. Logicamente, non è questo il fulcro del romanzo, che non ha come tema l’altruismo o l’eroismo, ma ha l’intenzione di solleticare in noi dei quesiti etici. Samuele vivrà sempre con il rimorso. Mai accetterà il fatto di essersi salvato, tant’è che si suiciderà prima che la figlia nasca.

“Il colore delle foglie d’autunno” racconta di un percorso di riscoperta, perché quella storia oscura, che per anni non è stata svelata a Vittoria, merita più dei semplici approfondimenti del caso. La protagonista si porta dentro delle sensazioni apparentemente innate, in cui trovano dimora l’angoscia e la malinconia. Questi stati d’animo si riversano nella sua attività musicale, nel suo amore per Schubert e in quegli ideali afferenti al romanticismo che sono sempre “necessità di libertà e di fuga, ma pure disprezzo verso tutto ciò che incatena il cuore e la mente”.

Anche i nazisti però erano “romantici”, persino i fascisti volevano creare l’uomo nuovo, ossia un individuo che fosse in perfetta armonia con la sua anima, con il suo spirito e che fosse creatore della sua Storia. Stessa cosa volevano fare i “comunisti”. Però nessuno ci è riuscito, perché ogni dittatura è contronatura. Ed è questo il messaggio che man mano prende forza dalle pagine del libro.

Vero è che un romanzo non deve “insegnare” qualcosa, così come non è mai necessaria la “morale della favola”, ma è l’evidenza dei fatti raccontati, lo stile che ci prende per mano e che ci coinvolge nella sua musicalità, che ci portano a estraniarci dal mondo e a diventare tutt’uno con le pagine. Più ci spingiamo tra le vicissitudini riportate, più ci immedesimiamo e facciamo i conti con le nostre idee.

Ecco, “Il colore delle foglie d’autunno”, che in questo periodo di facili dimenticanze è davvero utile, non ci ripete per l’ennesima volta le cose che già sappiamo, ma ci indica un’altra direzione: quella che conduce verso il dramma della memoria, verso l’incapacità di ciascuno di noi di scegliere consapevolmente.

Il problema non è “schierarsi”, ma non riflettere sulle conseguenze che certe scelte possono avere sul destino di tutti. La classica e superficiale divisione in “buoni e cattivi” è un’altra banalità che il romanzo evita con accuratezza, riportando ogni elemento in quella dimensione umana in cui la Storia si manifesta giorno dopo giorno.

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