Il baluardo della fede: un viaggio spirituale nell’anima russa
Articolo di Gerlando Fabio Sorrentino. Recensione del saggio: Soggiorno a Optina. Discesa nell’anima russa di Ivo Flavio Abela, edito da Castelvecchi, Roma (2021)
Siamo al cospetto di un diario in tre parti che ci conduce indietro nel tempo svelandoci il mistero e la magnificenza di Optina Pustyn’, il celebre monastero russo ortodosso. L’autore, il raffinato intellettuale siciliano Ivo Flavio Abela, ci trasporta in un’avventura spirituale intrisa di storia e tradizione, in un luogo dove la fede e, paradossalmente, la malvagità del mondo si sono intrecciate nel corso dei secoli.
Il viaggio a ritroso inizia nell’aprile del 1993, quando il narratore trascorre due settimane presso il Monastero della Presentazione della Vergine Maria al Tempio, in occasione della Pasqua Ortodossa. Situato a circa duecento chilometri a sud di Mosca, Optina Pustyn’ si erge maestoso, circondato da una vasta pineta. Le sue croci dorate risplendono sulle cupole azzurre, mentre la grande cupola dorata della Chiesa della Presentazione troneggia imponente. Una cinta muraria conferisce all’intero complesso un’aura di fortezza, un baluardo della fede contro gli orrori del mondo.
La stessa parola russa per “monastero” porta con sé il significato di “deserto”, e Optina Pustyn’, in effetti, sorge in un luogo isolato, escluso un tempo dai collegamenti ferroviari e dalle strade carrozzabili. In passato era raggiungibile solo in barca o a piedi, un ambiente perfetto per coloro che ricercavano una vita da eremiti e penitenti, un rifugio ideale per sfuggire alle tentazioni del mondo.
Ma questo luogo sacro è stato anche teatro di atroci tragedie, dai massacri commessi dagli invasori tartari alle efferatezze del regime sovietico. Tuttavia, Optina Pustyn’ ha sempre tentato di resistere alla follia circostante, ergendosi come un’oasi di pace e spiritualità nonostante le vicissitudini storiche.
Il nome stesso di Optina sembra essere legato alla malvagità che qui si è sempre cercato di sfuggire. Secondo una leggenda, deriverebbe dal nome tataro “Opta”, che significa “malvagio” o “oppressore”, appartenente a un brigante che cambiò radicalmente la propria vita diventando monaco. Questa malvagità risorse con violenza durante la rivoluzione bolscevica, stravolgendo la vita del monastero, con l’uccisione, l’arresto e la fuga di molti monaci e la chiusura formale nel 1919. Alcune delle sue strutture furono demolite, altre sacrificate per scopi profani.
Durante il secondo conflitto mondiale, Optina Pustyn’ servì da prigione per gli ufficiali dell’esercito polacco, catturati e poi massacrati dai sovietici nella foresta di Katyn. Questo oscuro episodio chiude un cerchio di malvagità che sembra essere irresistibilmente attratto da un luogo così sacro. L’epilogo sorprendente dell’opera, di certo aggiunge un’ulteriore dimensione, rivelando come il male abbia continuato a sfiorare perfino la parte contemporanea della storia di Optina.
Con la fine del 1987 e l’avvento della Perestrojka, il monastero di Optina Pustyn’, ormai in rovina, fu finalmente riconsegnato alla Chiesa Ortodossa, segnando un momento cruciale nel suo recupero storico e culturale. Nonostante non comparisse inizialmente su alcuna guida turistica, il monastero iniziò a richiamare visitatori da tutta la Russia e da tutto il mondo.
La consapevolezza che il passato è una componente imprescindibile della tridimensionalità dell’esistenza è stata il motore di questo recupero. È come se il passato e il futuro si intrecciassero indissolubilmente nel presente, mentre sottrarre valore al passato avrebbe avuto gravi conseguenze nel cammino verso il futuro. “Se tu spari al passato con una pistola, il futuro sparerà su di te con un cannone!” Questa consapevolezza sottolinea l’importanza di preservare e valorizzare la storia e la tradizione.
Il fulcro del monastero sono i monaci, figure mistiche che incarnano perfettamente il ruolo di padri spirituali, pur presentandosi come esseri umani con caratteristiche fisiche e storie personali profonde. L’autore del diario intreccia legami significativi con tre di loro: Vasilij, Ferapont e Trofim. Questi monaci hanno seguito una vocazione che, secondo uno di loro, appartiene a tutti i veri cristiani ortodossi. In effetti, chiunque può desiderare di diventare un monaco, ma soltanto pochi hanno la forza e il coraggio di intraprendere tale cammino.
Fra i tre monaci, spicca il racconto in prima persona di Vasilij, che condivide la sua esperienza esistenziale e le circostanze che lo hanno condotto a diventare monaco. Ma il diario si distingue per la sua narrazione corale, dando voce a una molteplicità di personaggi, sia del presente che del passato, coinvolti nella vita spirituale e materiale del monastero. L’autore, sebbene sia una delle voci presenti nel diario, riesce abilmente a includere le esperienze e i punti di vista di molti altri personaggi, creando un affresco coinvolgente e ricco di prospettive.
La tradizione monastica di “ora et labora” (prega e lavora) è ancora viva e attiva a Optina, dove il profondo legame con la fatica fisica e il lavoro si accompagna a un distacco dalle cose terrene e materiali. Questo atteggiamento si manifesta anche nel gesto dei monaci che, a turno, donano oggetti personali, sottolineando la loro rinuncia ai beni materiali.
Emerge chiaramente l’anelito di rinascita che permea ogni aspetto della vita nel monastero di Optina. Questo desiderio di elevarsi e risorgere dalle rovine è simbolicamente rappresentato anche nella figura di alcuni monaci, come Vasilij, alto e slanciato, proiettato verso l’alto come a raggiungere una dimensione celeste distante dalla realtà terrena. Il luogo di culto diviene così un teatro di sacre rappresentazioni, arricchite da scenografie e coreografie di paramenti, liturgie, rituali e cerimonie.
Gli elementi sensoriali e spirituali che caratterizzano il culto ortodosso esercitano un profondo impatto sull’anima dei credenti. Gli incensi, i canti, i cori e il suono delle campane creano una dimensione mistica e avvolgente. Tuttavia, il vertice di questa esperienza è rappresentato dalle icone, che svolgono un ruolo fondamentale nella fede ortodossa. La fede stessa è ritenuta una forma di visione, sia esteriore che interiore, concentrata nell’espressività sacra delle icone e in altri elementi visibili che illuminano gli occhi dei fedeli, suscitando un’esperienza spirituale profonda.
I paramenti liturgici, come quelli indossati nel Sabato Santo, assumono un significato simbolico che trascende il mero aspetto estetico, segnando il passaggio dalla Passione e Morte di Cristo alla sua Risurrezione. Ogni elemento visibile nell’icona, incluso il colore e la geometria compositiva, trasmette una simbologia della fede e acquisisce una mobilità e una sensibilità proprie, rendendo l’icona un’immagine viva e pulsante, quasi come una “immagine cinematografica ante litteram”. Questa peculiarità consente all’icona di incarnare una forma di meditazione sul divino, inducendo a una profonda riflessione sui significati dottrinali.
È indicativo che l’autore dedichi un considerevole spazio alla figura del grande regista russo Andrej Tarkovskij, sviscerando i suoi legami con il credo ortodosso e il profondo impatto che questo ha esercitato sulla sua visione artistica. L’estetica visiva di Tarkovskij si configura come un anello di congiunzione significativo con la scintilla della fede: un veicolo per una contemplazione interiore e una connessione trascendentale. Questa non si risolve nella passività dello spettatore, ma si rispecchia nell’agire dell’individuo, nell’essere protagonista delle proprie convinzioni e credenze.
Abela indaga vari aspetti della vita di Tarkovskij e l’intima sacralità insita in molte delle sue opere, evidenziando come l’ispirazione dell’anima non sia un processo unidirezionale, ma una sinergia vibrante tra parola e pensiero, che si metamorfizza in immagini trascendenti la mera dimensione artistica. Queste non sono semplici rappresentazioni visive, ma piuttosto l’emanazione di un dialogo profondo con l’inespresso, l’invisibile, l’eterno, un dialogo che attinge alla sacralità della fede e la manifesta in forme di incomparabile bellezza e potenza evocativa.
L’essere umano stesso è descritto come la principale icona di Cristo del logos cristiano, non solo come corpo, ma come parola, pensiero e fede. La parola diventa un suono vivificante che va oltre il silenzio e riscopre diverse forme di comunicazione sonora, come il suono delle campane. I monaci conosciuti dall’autore svolgono un ruolo importante nella produzione del suono delle campane, un annuncio di fede e un proclama di vita che vibra e penetra nella materia del corpo, risuonando negli strati più profondi dello spirito.
Il diario si arricchisce di spunti letterari che approfondiscono la figura di alcuni visitatori illustri a Optina Pustyn’. Tra di essi, primeggiano Dostoevskij e Tolstoj, entrambi in profonda crisi personale e spirituale durante le loro visite al monastero. Altri illustri visitatori appartenenti all’élite intellettuale e artistica della Russia includono Nikolaj Gogol, Ivan Turgenev, Pjotr Ciajkovskij, i fratelli Aksakov, i fratelli Kireevskij e Konstantin Leont’ev.
Abela analizza vari parallelismi tra la vita di Tolstoj e alcuni protagonisti delle sue opere, come Levin in “Anna Karenina”, che in molti aspetti sembra rappresentare un vero alter ego dell’autore. La morte di tre dei suoi figli trova eco anche in alcuni eventi tragici della sua vita. Allo stesso modo, Dostoevskij subisce la perdita del figlio di tre anni, portando con sé sensi di colpa e profonda prostrazione dovuti alla consapevolezza che il figlio aveva ereditato da lui un disturbo epilettico. La visita a Optina si rivela rigenerante per Dostoevskij, come affermato dalla moglie, che notò un ritorno più sereno dello scrittore e una rinnovata energia nella redazione de “I Fratelli Karamazov”, dove il monastero è addirittura menzionato nel primo capitolo.
Dostoevskij si nutre costantemente di letture religiose, scritti ascetici e memorie dei Padri Ortodossi, diventando un perfetto interprete della religiosità ortodossa russa e del motivo per cui essa diventa così centrale nella vita di quel popolo. Questa profonda ispirazione religiosa emerge in molte delle sue opere.
Il lavoro di Abela si evolve in una danza complessa di esplorazioni letterarie, artistiche e cinematografiche, abbinata al racconto intimo della sua permanenza come pellegrino nel monastero di Optina Pustyn’. Qui, emerge prepotentemente la figura dello starets, “l’anziano”, una colonna portante della vita monastica, al quale i monaci sono tenuti a prestare un’obbedienza totale e incontestabile. Nella tradizione ortodossa infatti, il voto di obbedienza riveste un significato ancor più profondo rispetto ai voti di celibato e povertà.
Lo starets si distingue per le sue virtù straordinarie, che includono la capacità di prevedere il futuro, operare guarigioni e impartire saggezza e consigli. Tuttavia, queste virtù non sono merito di doni personali, ma si nutrono della fede radicata nel Vangelo e negli insegnamenti dei Santi Padri. Con l’avanzare degli anni e l’accumulare dell’esperienza, lo starets sviluppa una saggezza penetrante, capace di intuire al primo incontro le ansie, i bisogni e le questioni interiori di un estraneo.
La vita e le gesta di questi personaggi eccezionali sono spesso il cuore di storie che hanno trovato casa nella biblioteca di Optina, un autentico epicentro culturale e teologico di inestimabile valore. La tipografia del monastero, attiva dalla metà del XIX secolo, ha avuto un ruolo chiave nella diffusione di testi di teologia ortodossa, contribuendo a consolidare l’influenza e la fama del luogo.
Oltre allo starets, un’altra figura fondamentale nella devozione popolare russa ortodossa è quella degli jurodivye, i “folli per Dio”, individui caratterizzati da un’estrema povertà materiale contrastata da una incommensurabile ricchezza spirituale. Queste figure carismatiche e contraddittorie sono state spesso ritratte in opere pittoriche e letterarie, evidenziando la loro singolarità e il loro valore nel contesto del misticismo russo.
L’oppressione del regime sovietico cercò di cancellare questa componente importante dell’anima russa, ma secondo Abela, nei decenni successivi al 1917, l’anima ortodossa rimase intatta come un tesoro nascosto sui fondali di un mare, non toccata dalle forze sovietiche che avevano spazzato via molte cose in superficie. L’anima russa è permeata dalla bellezza del divino e delle sue raffigurazioni terrene, come le cattedrali e le icone. L’opera è ricca di accurate descrizioni di alcune celebri icone, rivelando la devozione profonda nei confronti di queste immagini sacre.
Nella seconda parte, l’autore approfondisce il tema degli scrittori legati a Optina, iniziando da Nikolaj Gogol’, che visitò il monastero in diverse occasioni. A differenza di Dostoevskij e Tolstoj, che avevano rapporti conflittuali con la fede, Gogol’ era animato da una profonda e genuina fede, con un particolare attaccamento alla figura di Gesù Cristo. Era incantato dai monaci di Optina, che gli sembravano in contatto perpetuo con il cielo, e ciò lo ispirò verso pensieri e ideali più elevati. Gogol’ condivideva l’opinione degli slavofili che vedevano nella Chiesa Russa una chiesa sociale, in quanto il popolo russo era disposto a sacrificare le proprie individualità per agire nell’ottica fraterna del bene comune condiviso sotto l’egida della Chiesa.
Una parte significativa di questa sezione del libro è dedicata poi a un’intervista immaginaria con lo spettro di Tolstoj, che visita la tomba di una sua zia sulla cui lapide è presente un’epigrafe scritta da lui in gioventù. Si ripercorre anche la celebre fuga dell’anziano scrittore nel 1910 dalla sua dimora di Jasnaja Poljana per sottrarsi al controllo della moglie. Una delle prime tappe della fuga fu proprio Optina, anche se nove anni prima Tolstoj era stato ufficialmente scomunicato dalla Chiesa Ortodossa, e nel colloquio immaginario con Tolstoj, Abela dà la sua versione di ciò che accadde.
Emerge un ritratto fatalista delle vedute dello scrittore russo, che si sente di non aver realizzato appieno ciò che si proponeva, poiché è tormentato dalla sensazione di non poter disporre di sé stesso come desidererebbe, in quanto una forza oscura si oppone capricciosamente ai suoi desideri.
Il ritratto di Tolstoj visto come uno starets laico e non allineato getta luce su di un aspetto interessante e complesso della sua figura. Pur essendo stato scomunicato dalla Chiesa Ortodossa, Tolstoj ha continuato a esercitare un’influenza spirituale sulla gente che si rivolgeva a lui con le proprie richieste, simili a quelle rivolte ai veri starets monastici. La scomunica creò problemi per il clero ortodosso in merito alle esequie religiose e alla sepoltura in terra sacra.
Nel finale del libro, c’è un colpo di scena sconvolgente che ribalta l’intera prospettiva dell’opera e chiarisce le sue origini e finalità. Anche se ciò può suscitare un iniziale senso di disorientamento, alla fine tutto si chiarisce, sebbene qualche incertezza residua possa rimanere nei lettori più dubbiosi.
L’opera culmina in occasione della Pasqua Ortodossa, simbolo di resurrezione e di morte, accompagnata dal suono delle campane. Optina, con la sua storia di padri spirituali, asceti, folli di Dio e grandi spiriti illuminati, è gravida di Grazia, ottenuta attraverso la preghiera e le privazioni. È stata una fonte di consolazione per coloro che vi si sono rifugiati, ma ha testimoniato anche martirii e persecuzioni. Ancora oggi, Optina continua a essere un luogo idealizzato dove si vive tra fede e dubbio, tra realtà e immaginazione, dove ogni cosa diventa un pretesto per parlare e ricordare ciò che più si ama e che rimane scolpito nella memoria e nel cuore.
“Soggiorno a Optina” emerge come un’indagine trascendentale e approfondita sull’anima della Russia ortodossa, un sapiente tessuto di letteratura, arte, fede e storia. Attraverso una narrazione straordinariamente coinvolgente, l’autore trascina il lettore nel cuore pulsante del Monastero di Optina, svelando una visione dettagliata e sottile della sua lunga storia e dei suoi legami con le figure più emblematiche della cultura russa.
Ciò che risalta in modo particolarmente evocativo in quest’opera è l’importanza intrinseca della fede ortodossa russa, considerata non solo come linfa vitale che permea il quotidiano del monastero, ma come fondamentale colonna portante della cultura e dell’identità del popolo russo. La straordinaria profondità con la quale viene esplorata la spiritualità della Russia attraverso le lenti della dimensione monastica riflette il desiderio dell’autore di trascendere l’osservazione superficiale, puntando invece a una comprensione più profonda e costruttiva dell’essenza del mondo russo.
“Soggiorno a Optina” di Ivo Flavio Abela rappresenta una fusione unica di narrativa storica e contemplazione spirituale, coniugando il rigore dell’indagine accademica con la vivacità del racconto. Questa opera è più di un semplice libro: è un viaggio illuminante nel cuore della Russia, un’odissea che riesce a illuminare le profondità di un paese, del suo popolo, e della loro fede in modo incisivo ed emozionante, un capolavoro di introspezione culturale e spirituale che merita di essere letto e meditato.