Di una rosa nei rovi. Qualche annotazione leggendo Marina Cvetaeva
Recensione di Antonio Maria Porretti. In Copertina: “La via delle comete” di Marina Cvetaeva, InternoPoesia, 2023
Un passo dopo l’altro sulla fune della sua vita; con quella regalità allucinata (scriteriata?) degli esclusi, degli incompresi, dei fuggitivi da ogni steccato di serenità e quiete. Chimere che la loro famelicità di vertigini e voragini rifiuta categoricamente, bollandole come eresia.
Per costoro, è l’anelito all’ustione che va preservato, a ogni costo. Marina Cvetaeva e la sua poesia appartengono in ogni grammo della loro sostanza a questa categoria di eterni randagi: aquile a due teste che la parola tramuta in Via Lattea per le arsure e gli sfrigolii di un’anima che si fa carne da bruciare nel verso, celebrando il battesimo di una perdita. Rinnovata e distillata da minuti e ore che conducono sempre verso qualche violazione di un codice condiviso e accettato; tranne da chi sceglie la condanna dell’esclusione.
Una poesia, la sua, che si compone di scaglie eterogenee, talvolta più ispide e impervie, talvolta come respiri che disegnano spazi incommensurabili dello spirito. Come a tessere un sudario per qualche cielo. Senza posa, senza nessuna battuta d’arresto. Nemmeno nei momenti più tragici: e Cvetaeva ne conobbe molti.
Dall’esperienza per lei dilaniante della Rivoluzione d’Ottobre, con il marito Sergej Efron, arruolato nell’esercito controrivoluzionario dell’Armata Bianca, prima di una sua conversione al Bolscevismo, fino agli anni di misero pellegrinaggio per l’Europa (Parigi, Berlino, Praga), fino all’arresto del marito e della figlia Ariadna nel 1937, dopo il loro rientro in Unione Sovietica, fino all’ordine emesso dal regime comunista di messa al confino nella Repubblica del Tartastan, dove si suiciderà il 31 agosto del 1941, spezzando quella fune su cui per anni era rimasta disperatamente in equilibrio.
Risuonano – cantano, impedendo l’oblio,]
nella mia anima la parola “quindici anni”.]
Oh, perché sono diventata grande?]
Non ho salvezza!
Ancora ieri verso le betulle verdi]
correvo, libera fin dal mattino.
Ancora ieri giocavo scapigliata,
ancora ieri!
Il rintocco primaverile di campanelli lontani]
mi diceva: “Corri e distenditi.”
e ogni strillo era consentito alla monella,]
e ogni passo.
Che c’è in futuro? Quale insuccesso?]
In tutto c’è l’inganno e, ah, su tutto il divieto!]
– Così dalla cara infanzia mi sono congelata, piangendo,]
a quindici anni.
Versi emblematici di un martirio deliberatamente accettato, prima di decretarne l’interruzione, facendone per sempre una “ragazza interrotta”, ma non corrotta. Un’archeologa di sentimenti che nessuna spietatezza della vita potrà mai deturpare e a cui solo la notte delle sue pupille poteva renderle la grandezza che oggi le viene tributata. L’avvenire e il divenire sarebbero stati, forse, troppo gelosi di lei.
” […]
Eccolo dei carichi sulla schiena
il flagello, dei sognatori la spada!
Come un violentatore butta a terra
la bellezza: coricati!
Non risponderà e si sorriderà – come una tomba – come un giacimento,
ma non mostrerà il volto
e non concederà l’ anima…
[…]
Versi che potrebbero figurare come suo più giusto e coerente epitaffio.
Eccellente iniziativa quella di InternoPoesia nel pubblicare questo volume intitolato “La via delle comete”, per la curatela di Paolo Galvagni. Per chi ama Marina Cvetaeva; per chi nella Poesia trova (anche?) giustificazione del suo esistere.