Apparenza di nuova generazione

Apparenza di nuova generazione

Articolo di Martino Ciano. Foto di Pina Labanca

Governati dalla legge di causalità, presi a calci in culo da una forza che non ci permette mai di tornare indietro, andiamo, oggi come ieri, incontro alla realtà ancora increata. Cuce e ricuce la nostra mente ciò che ci circonda, lei stessa ci consegna accomodanti cause ed effetti. Così vanno le cose; così come la nostra mente ama costruirle per noi.

Appare lontano ogni oggetto. Ci percuotono le sensazioni, si materializzano e si ingarbugliano. Osserviamo le nostre opere, materiali e immateriali; si affastellano cose che si imprimono e che poi una mano gentile cancella; consideriamo e riconsideriamo errori di valutazione, dubbi, certezze e svelamenti, ma ci resta poco di ogni fenomeno e di ogni rappresentazione; solo la materia è imperitura.

Sconfinata è la fame primordiale di sapere, di scoprire, di stupirci, di rincorrere la verità; poi, traditi, sbeffeggiati, come su un’isola da cui guardiamo il velo di nebbia che tutto avvolge, torniamo spaesati e contenti. Dolce sbigottimento del non trovare un punto fermo, mentre tutto vibra tra l’inconcludenza e l’incompiutezza; oscilliamo dispersi tra la vacuità delle forme tirate su dal cervello, mentre i sensi continuano a prenderci in giro, ad ammaliarci, a farci sopravvivere.

Corre un bambino verso la sua mamma; corre un cane dal suo padrone; corrono i cuori e gli occhi si accecano, cosicché tutto ci appaia vivo, consistente, percepibile, tramutabile, esistente. Bugia, menzogna! Non c’è quel prima e quel dopo, quell’andare e tornare, quel chiedersi e rispondersi, quell’essere e non essere. Sta qui la gioia di ogni inizio, si conserva nell’apparenza la Gloria. Il presente redime, il resto è necessità.

Non c’è più un il ritmo nervoso a guidare le mie idee, le convinzioni e i vacillamenti. Si è creato un precedente, il mondo esiste come apparenza e a ognuno appartiene ciò che sente, che percepisce, che elabora, che rigetta nello spazio… lo spazio di un Dio che si frantuma, che si decompone. Lo spazio, cioè l’ultimo lamento di una divinità abulica.

Solitudine e contemplazione, sentire il silenzio e il suo disordine. Mi sono stupito davanti a una farfalla che volteggiava nell’aria, di fronte alle nuvole che sovrastavano un campanile… questo mi basta.

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