Demoniaca sazietà

Demoniaca sazietà

Racconto di Albino Console e Mariasole Orrico. La vignetta è di Kirill Scalirò

Il pacco di biscotti al cioccolato, ormai vuoto e accartocciato su sé stesso, giaceva a terra. Maia, stravolta e con gli occhi spenti, fissava la ceramica bianca, in attesa di trovare le forze per perdere ancora una volta. Voleva liberarsi del senso di colpa, per sentirsi vuota anche lei, proprio come quel pacco di biscotti al cioccolato, finalmente libera.

Erano le dieci di sera, la fine di una giornata orrenda come sempre, pensante come gli ultimi anni. Pesante come lei.

Anche questa volta aveva perso, ma non aveva ottenuto la sconfitta che desiderava. Lei voleva perdere riuscendo finalmente a vomitare, i biscotti, come quel senso di angoscia che la attanagliava ogni volta che non riusciva a trattenersi e mangiava, fino a stare male. Ma la sua sconfitta più grande era quella di non riuscire a vincere nemmeno in questo.

Nemmeno quando la vittoria sarebbe stata, in verità, una perdita. Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere magra, per assomigliare un po’ di più alle sue compagne di classe, le stesse che tanto odiava e che ogni giorno si prendevano gioco di lei, trattandola come se fosse un mostro.

Come se il suo enorme corpo fosse composto di sola cattiveria. Lo spesso strato di lardo che la circondava, le impediva di vivere, di correre, di avere amici. Impediva alle parole che aveva voglia di urlare di venir fuori, come se il grasso potesse bloccare anche la sua voce, le sue emozioni. Crolla sul letto, che si piega sotto il suo peso.

È una serata calda, più di quanto sia normale nella seconda metà di giugno. Maia non riesce a prendere sonno, continua a rigirarsi nel letto, tormentata dal pensiero delle continue prese in giro dei suoi compagni di scuola, almeno la scuola è finita e per due mesi non dovrà vederli, forse questo le darà un po’ di pace.

Poi pensa al mare, alla vergogna che prova ogni anno nel mostrarsi in costume. Il caldo diventa sempre più insopportabile, così decide di alzarsi, per bere dell’acqua fresca. Arrivata davanti al frigorifero, lo apre, ma quello che vede al suo interno la sorprende: una gigantesca torta al cioccolato. Nessuno può averla preparata, i suoi genitori sono fuori per lavoro.

“So che vuoi mangiarla” gracida una voce demoniaca alle sue spalle. Maia si volta lentamente, terrorizzata. Un gigantesco quanto immondo essere dai grandi occhi rossi, le sorride, maligno. Lei vorrebbe scappare, ma non può farlo, le gambe sembrano non rispondere ai comandi.

“Voglio fare un patto con te” continua la bestia. “Mangia quella torta, mangiarla tutta. Non devi lasciarne neanche una briciola. Se lo farai, io ti darò quello che desideri. Tu ricambierai il favore dando a me quello che desidero. La tua vendetta sarà più dolce di questa torta”.

Il caldo è insopportabile. Maia si risveglia nel suo letto, terrorizzata e madida di sudore. Si alza velocemente, in modo più agile di quanto non abbia mai fatto. Accende la luce. Quello che vede nel grande specchio a muro della sua stanza, la lascia attonita. Senza parole. Poggia le mani sul suo ventre piatto, poi le guarda, sono completamente sporche di cioccolata, così come la sua faccia. Improvvisamente, sente un fortissimo crampo allo stomaco.

Ha fame.

Una fame nera e mai provata prima, nemmeno durante i suoi periodi più bui. Una fame che deve sedare immediatamente, altrimenti, teme, le farà perdere il senno. Quello che sembrava solo un terrificante incubo, era invece reale, quanto la sua immagine allo specchio. Aveva stretto un patto con un demone. Un demone che già pretendeva di essere pagato. Un demone che pretendeva ora, che lei si cibasse di carne umana. Dopo tanti anni di umiliazioni, Maia non aveva nessun dubbio su quella che doveva essere la sua prima vittima, non provava nemmeno pena per lei. Elena, la sua biondissima compagna di classe, era bella, bellissima. Magra quanto affabile. La sua effimera bellezza era paragonabile solo alla sua cattiveria.

Quante volete aveva desiderato di sparire o addirittura di essere morta, pur di non doverla rivedere mai più. Elena avrebbe capito finalmente tutto il male che le aveva fatto. Avrebbe scoperto la sofferenza. Maia sapeva perfettamente dove trovarla, quella sera lei e tutti gli altri ragazzi della scuola, almeno quelli più “popolari” avrebbero partecipato ad un party, per festeggiare l’inizio dell’estate.

Lì la sua rivale avrebbe trovato la morte.

Erano da poco passate le ventitré, quando Maia fece il suo ingresso nella grande villa sul mare della sua compagna di classe, perché Elena, oltre ad essere bella e perfida, era anche vergognosamente ricca, anche troppo per il piccolo paese dove abitavano.

Lo scenario era perfetto, fiabesco, niente di quella calda notte lasciava presagire l’inferno che di lì a poco si sarebbe scatenato. La villa era decorata con addobbi floreali, i colori dominanti erano il bianco ed il rosa. La musica suonava forte, molti erano già ubriachi o fatti di chi sa che altro. Quando Maia fece il suo ingresso nella stanza, il tempo sembrò fermarsi, tutti guardavano lei.

Per un attimo si sentì a disagio, quasi come accedeva ogni volta che varcava la soglia della scuola, ma questa volta la guardavano per un motivo diverso: lei era fantastica. Gonfia, ma questa volta non per i chili di troppo ma per il peso del suo ego e della sua rabbia, iniziò a guardarsi intorno, in attesa di vedere la sua nemica.

Non ci mise tanto a trovarla, era sempre la solita, al centro dell’attenzione e priva di ogni senso del pudore, si stava scatenando in un ballo libidinoso e vergognoso. Anche Maia si mise a ballare, in pochi istanti, tutti gli occhi che fino a poco prima erano puntati su Elena, erano su di lei.

“Non ti ho mai vista da queste parti” la voce di Elena era sicura, decisa, ma Maia si rendeva perfettamente conto che la sua rivale stava ribollendo di rabbia.
“Sono nuova, mi hanno detto che a questa festa avrei trovato gli amici giusti, che qui ci sarebbero state tutte le persone che contano. A chi devo chiedere per trovare qualcosa di buono da bere?” rispose lei.
“Ti faccio strada, così avremo modo di parlare da sole, potrò spiegarti come funzionano le cose da queste parti” con queste parole, Elena si incamminò verso l’ingresso.

Mentre la seguiva, Maia pensò che fosse davvero facile prendersi gioco di lei e scoprì una nuova caratteristica della sua più grande nemica: bella, quanto perfida, quanto stupida.

Elena, dopo aver preso due bicchieri di vodka, la condusse in uno studio. Enormi tende coprivano le grandi vetrate che davano sul giardino, una libreria immensa, faceva da perimetro a due delle parenti della stanza scarlatta.

“Che grande spreco” pensò, “probabilmente Elena non aveva letto nemmeno uno di quei libri”.

I rumori della festa, da quella stanza, assomigliavano ad un lontano brusio, le ricordarono le voci dei suoi genitori, che sentiva provenire dalla cucina quando da bambina cercava di prendere sonno nel suo letto, facendola sentire al sicuro.

“Ti hanno detto la verità, a questa festa sono state inviate tutte le persone che contano” le parole di Elena la distolsero dai suoi pensieri.
“Io posso fare in modo che la tua permanenza nella mia casa e fra i miei amici sia meravigliosa, ma ci sono delle regole da rispettare.
Non provare mai più a metterti in mostra come hai fatto poco fa altrimenti ci saranno delle conseguenze…” continuò a parlare, ma a quel punto Maia non sentiva più, la rabbia era troppa.

La sua fame era troppa.

Avrebbe voluto gustarsi quel momento, far in modo che avesse una sorta di morale. Auspicato un compensamento cosmico, proprio come alcune volte avviene nei film horror.  Una vittima che diventa finalmente carnefice del mostro e lo uccide urlandogli contro i suoi peccati. Ma non è questo quello che accade, in un solo balzo le fu al collo. La sua bocca si aprì, deformandosi in modo disumano, i suoi denti diventarono enormi ed affilatissime lame.

Pochi secondi dopo, un sapore forte e ferroso le invase la bocca. Maia, fu presa da una frenesia indescrivibile e poté sentire gli ultimi battiti del cuore della sua vittima, mentre guardava la vita abbandonare i suoi occhi. Ed anche se solo per un secondo, Elena, la aveva riconosciuta. Fu così, che per la prima volta nella sua vita, Maia si sentì finalmente sazia.

Quando tornò nel giardino, nulla era cambiato, tutti ballavano, tutti continuavano a divertirsi. Nessuno immaginava l’orrore che si era consumato a pochi passi dal loro buffet. Si sentiva ubriaca, anche senza aver bevuto di gioia, di potere, di vendetta. Se quello era il prezzo da pagare, lei era disponibile a farlo. Si sarebbe gustata ogni boccone della sua nuova e straordinaria vita.

Ma non questa sera, ora era tempo di festeggiare. In onore di sé stessa ed in onore della sua vendetta, ma soprattutto in onore del suo demone, a cui con gioia scelse di consacrarsi. Lei li guardava ballare, ignari e vergognosamente inconsapevoli, bulli e drogati, meretrici e snob, così pieni di loro stessi da pensare di essere loro i veri cattivi. Convinti di essere al sicuro nel loro branco di perdenti.

“Continuate pure a ballare” pensò, “Divertitevi più che potete.”
“A partire da domani conoscerete la vera cattiveria. Generata si dà un demone, ma figlia di ogni vostro insulto. Ballate, perché a partire da domani, vi insegnerò cos’è la sofferenza.”

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