Si vede che non era destino. La poesia di una madre…

Si vede che non era destino. La poesia di una madre…

Recensione di Antonio Maria Porretti

C’era una donna…

Di soppiatto, in punta di piedi,  con tutta la discrezione, l’amorevolezza – e anche apprensione – di una madre, attenta a sorvegliare il sonno del suo bambino.

Ecco, se dovessi condensare e tradurre con un’immagine il romanzo di Daniele Petruccioli “Si vede che non era destino” ritengo che questa potrebbe essere adatta allo scopo.

Storia di una madre. Della Madre. Di colei che affrontò la sua condizione di eletta, per scelta e volontà di un mistero da cui avrebbe avuto origine il divino. Storia di Maria di Nazareth; della donna terrena che potrebbe essere stata; di persona insediata dalla storia nell’apice di una identificazione immediata quanto inevitabile: ineluttabile.

Racconto dei suoi turbamenti, delle sue insicurezze, dei suoi disagi nell’accettare e affrontare un tale ruolo, a contatto di una vita per la quale non si sentiva all’altezza. Uno scomodo abito da dover indossare ogni giorno, per lei che aspirava agli agi e al conforto di un’esistenza semplice, da voce protetta all’interno di un coro, rifuggendo ogni motivo e causa di eccezionalità.

Al di là dell’iconografia istituzionalizzata dalla tradizione, cos’altro sappiamo di lei? Quasi nulla. Nemmeno le sacre scritture se ne sono mai granché occupate. È un dato di fatto.
Così come questo libro si inoltra nell’esplorazione – credo rare volte tentata – della sua fisicità emotiva e psicologica. Di progressivo adattamento a quello status non ricercato.

Con onestà e gentilezza, Petruccioli ce la lascia incontrare, avvicinandola come essere umano, con un approccio e uno stile che mi ha fatto pensare a certi dipinti di El Greco, ritrovando nelle pagine quello stesso impasto di colori e composizione.

Quella stessa tensione che modella le sue figure. Parole che si posizionano come pennellate di una maternità timorosa e reticente. Offuscata da incognite, più che da presagi. Dove la voce di Lei preferisce evocare, anziché compiersi, e in virtù di questo sfumato ancor più persuasiva.

Una vicenda che non può evitare di confrontarsi con la figura del Cristo, o di Ieshua, secondo la tradizione ebraica.

Quel frutto tanto temuto del suo ventre. Quel figlio così rivoluzionario nei suoi atti e comportamenti. Destabilizzatore di ogni ordine precostituito; profeta di un concetto d’amore senza barriere né riserve. Qui mostrato attraverso il chiaroscuro argenteo che pervade gli occhi di una Maria più che mai vivida e viva nella sua quotidianità di donna che tutto accetta, anche quando non comprende.

Per una strana coincidenza di calendario, ho letto questo libro nei giorni immediatamente precedenti la Pasqua. Oltremodo ideale per il periodo, e lo affermo da persona che ormai si mantiene a distanza di sicurezza dalla chiesa per determinazione di lungo corso. Un romanzo che stimola comunque a ritrovare nel minuscolo granello della propria vita, un’ idea di fede lontana da ogni rituale e istituzione.

Ps: Suggerisco come musica di sottofondo lo Stabat Mater di Pergolesi, specie se nell’ edizione della London Symphony Orchestra diretta da Claudio Abbado, con le voci di Margaret Marshall e Lucia Valentini Terrani.

Post correlati