Anatomia della battaglia: Sartori e il “Fascismo” perenne

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Anatomia della battaglia” di Giacomo Sartori, Terrarossa edizioni, 2025
Un romanzo complesso in cui albergano contraddizioni profonde, conflitti ancestrali, distruzioni di totem e di tabù. “Anatomia della battaglia” di Giacomo Sartori è composto di frammenti che messi insieme formano una figura-specchio: quella del padre del protagonista in cui lui si riflette, si combatte, si risolve.
Il gioco dell’autore ruota intorno ai rigurgiti fascisti del genitore, rimasto fervente credente dell’ideologia di Mussolini e delle Camicie Nere, ma allo stesso tempo capace di sopravvivere a modo suo nella società democratica nata dopo la fine della guerra. La sua fedeltà ai principi del Ventennio non sparisce, anzi guida coerentemente le sue azioni, tanto da suscitare sia ammirazione che riprovazione.
Come reagisce il figlio? Sogna una carriera da scrittore, si lega ai terroristi rossi, rinnega con facilità le sue idee, combatte ponendo i propri ideali nel mezzo di quel conflitto irrisolvibile in cui convivono amore e odio, va in Africa per un progetto di sviluppo e cooperazione nel quale non crede e verso il quale non ha mai avuto interesse.
Sull’altro fronte c’è il padre che combatte con spirito eroico un tumore. Lui, così vitalista, sempre pronto a immaginarsi cadavere sul campo di battaglia, proprio non vuole arrendersi a una morte comune. La sua discesa negli inferi e il suo modo di affrontare la malattia aprono nel figlio una profonda crisi esistenziale, tanto da non lasciare spazio a dubbi: pure lui puzza di fascismo, anche se le strade intraprese sono diverse.
Intorno a questa confessione si sviluppa il testo. Uno stile riflessivo ma crudo, fatto di pochi orpelli, attraverso cui l’autore non fa sconti né a sé stesso né al resto della famiglia, ci spinge a tirare le somme con gli antichi modelli, i cattivi maestri e le ataviche strutture sociali. Niente di tutto ciò è sparito, anzi ancora oggi persiste sotto una coltre di indifferenza e di buonismo che scansa il problema.
Il fascismo dei padri e il consumismo abbracciato dai figli; l’imperturbabilità di chi ha vissuto la guerra o ne ha visto gli effetti contro le tante dimenticanze delle generazioni che da allora si sono susseguite e che hanno gettato tutto in quel buco chiamato “rimosso”. La totalità delle cose ci riappare di fronte grazie a un impianto narrativo che ipnotizza fin dalla prima pagina.
La guerra civile è davvero finita? In sostanza “no” e Sartori ce lo fa vedere mettendoci davanti agli occhi questa famiglia sgangherata, piena di lacune e di traumi irrisolti, ma anche così coerente con ciò che è la vita di ciascuno di noi, ossia un cumolo di contraddizioni che rendono ognuno un utile idiota.
Come dirà Sartori nella postfazione, tra queste pagine c’è tanto materiale autobiografico ma pure molte cose che non lo sono, e anche se questa affermazione non fosse del tutto vera, potrei dire tranquillamente all’autore che non c’è bisogno di precisare, perché siamo tutti sulla stessa barca.
“Anatomia della battaglia”, già pubblicato nel 2005, viene ripreso dopo vent’anni risultando più attuale che mai. Questa sorta di lessico familiare, che a me è sembrato più un linguaggio in codice che si rinnova attraverso l’adeguamento dei simboli alle mutazioni delle epoche, è ancora vivo e vegeto ed è persino capace di scatenare veri e propri “blackout” del pensiero critico.
Insomma, Sartori va letto aprendo la mente, prestando attenzione ai dettagli. L’ironico smascheramento che avviene sotto i nostri occhi ci farà capire che “certe maschere” ancora coprono i nostri volti, addirittura siamo felici che qualcuno le guardi con stupore e invidia.