Vendette incrociate nel western destrutturato del Potere del cane
Recensione di Gianni Vittorio
Siamo in Montana, anno 1925, e si racconta la storia di due fratelli, proprietari di un ranch, di cui uno è un cowboy burbero e selvaggio, mentre l’altro ha modi più eleganti, sensibile e con una vena da imprenditore.
Tutto scorre in maniera ordinata e anonima nelle loro vite, fino a quando George si innamora di una vedova, la bella Rose e la sposa. Ed è allora che il legame fraterno si inizia a spezzare fino a degenerare.
Il potere del cane è un western destrutturato, dove a catalizzare l’attenzione sono i silenzi, le frasi non dette ed i campi lunghi che ci parlano come gli stessi attori. La stessa violenza, mostrata spesso in diverse sequenze è come frenata, perché c’è sempre qualcosa che ci viene celato. Tutto è trattenuto, il film frena costantemente le sue emozioni, sempre sull’orlo di esplodere. E la mascolinità ambigua è tutta funzionale allo sviluppo del racconto. Qui il genere western perde tutte le sue peculiarità, poca azione, ma molta introspezione tra i personaggi, e tra questi chiave di volta della narrazione sarà il figlio di Rose, che avrà un ruolo fondamentale nell’economia della storia.
Ma il vero protagonista è il burbero Phil, un uomo solo che nasconde tutti i suoi limiti dietro una maschera. Il potere del cane può anche essere considerato un film sulla sfida tra le parti, nelle quali sopravvivono due modi di essere. La sfida tra i due fratelli consiste nello strappare il “potere” agli altri e conservarlo per sé.
Il film di Jane Campion è sì un western, ma anche e soprattutto altro. In un certo senso viene distrutto il mito del cowboy. Infatti i suoi stereotipi, la forza e la sua potenza vengono ricontestualizzati. Il cowboy viene convertito in un uomo triste e nostalgico, forse perché viene raccontata la fine di un’epopea, non il suo splendore.
Ma se Phil è il protagonista della storia, Pete (il figlio di Grace) è certamente il vincitore, perché rappresenta la nuova generazione che sta nascendo, quella che sta sui libri, è creativa e meno materiale della precedente. Pete, a causa della sua timidezza, sembra apparentemente soltanto un’altra vittima, ma alla fine si rivelerà “il desiderio, quello profondo e incontrollabile, che prima o poi ci distrugge”. Pete, in uno dei dialoghi con Phil dice ” Mio padre li chiamava ostacoli e diceva che vanno rimossi” . ” Un altro modo di dirlo”, risponde Phil, che è troppo solo per riconoscere il pericolo di un altro come lui.
Dal punto di vista stilistico Il potere del cane mostra una fotografia di primissimo livello, fatta di campi lunghi e paesaggi mozzafiato, mentre l’introspezione psicologica è resa in maniera magistrale dalla recitazione di tutti i personaggi, tra tutti Benedict Cumberbatch, che si cala ala perfezione nella parte del cowboy irruento.
Un ritorno (della Campion) in grande spolvero. (cit. Rivista studio.it)