Sul davanzale con qualche ricordo

Sul davanzale con qualche ricordo

Racconto e foto di Martino Ciano

Primo piano di un palazzo appartato nella periferia del borgo, ché pure un paesello ha il suo centro. Lì abitavi e passavi le tue giornate stando seduto sul davanzale della finestra del soggiorno. Tenevi le gambe sospese nel vuoto, ma tranquillizzarvi tutti dicendo loro che solo ai tuoi pensieri volevi far spiccare il volo.

La finestra affacciava sulla strada e chi passava di lì pensava che tu fossi matto, anzi eri una sciagura per la tua famiglia. Perché non ti trovavi un lavoro, invece di perdere tempo in quella che tu chiamavi contemplazione? Solo una volta ti videro che portavi una carriola piena di sabbia nei pressi di un cantiere, poi tornasti a sederti al tuo solito posto. Ti chiesi che cosa fosse successo, mi dicesti che volevano darti quattro spicci e per giunta senza assicurazione. “Che sfruttino i loro figli che la sera vanno a bere prosecco e a sniffare cocaina”.

E già, succede così, ma la figura del vagabondo ce la facevi tu, ché qui è peccato mortale chiedere diritti, a pochi vengono riconosciuti. Ci sono stronzi che si sacrificano per tutti.

Poi sparisti. Non ti vidi più seduto sul davanzale. In un primo momento pensai che ti fossi beccato un’influenza o che fossi caduto nella disperazione. Certe volte ti era capitato di diventare preda di un male oscuro di cui non si poteva parlare. Era una vergogna da nascondere ai più e da piangere con pochi intimi. “I panni sporchi solo in famiglia”, ma i mormorii si levano dalle combriccole di piazza e da qualche raduno nei bar.

Quella volta però facesti perdere le tue tracce e il tuo nome nessuno più lo pronunciò, fin quando non ti vidi in televisione, al tg nazionale. Sedevi al fianco di un regista conosciuto nel sottobosco delle avanguardie. Per lui era giunto il momento di fare il salto di qualità, per te un salto valeva l’altro. Manco citasti il posto dal quale provenivi, sembrava quasi che tu non avessi origini. Giornalista e regista si concentrarono sul fatto che eri stato scritturato così, per caso, mentre eri in giro per la Capitale. Eri una sorta di fenomeno vagante, spuntato dal nulla, solitario come un cane randagio, malconcio come un reduce di guerra. Eri stato però la manna dal cielo.

Va bene, raccontiamo così questa storia. Qualcuno in paese parlò di te il giorno dopo, eri un cittadino da rivalutare. Ce l’avevi fatta a fare qualcosa di buono, si domandarono come fosse stato possibile, ma era successo. Ipocritamente si poteva dimenticare l’indifferenza che ti era stata dimostrata. Era tempo di festeggiare un’eccellenza del territorio.

Ma tutto ciò non avvenne. Sparisti di nuovo, scomparve il regista, nulla si seppe del film. Due cose ricordo di te, la tua disperazione e il tuo volto stravolto dal male oscuro, e forse per questa disperazione ti si ricorda e ti si dimentica.

Forse, ma non ne sono sicuro.

 

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