Scisma. Ilaria Palomba e la poetica del discernimento

Scisma. Ilaria Palomba e la poetica del discernimento

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Scisma” di Ilaria Palomba, Les Flâneurs Edizioni, 2024

Le cose di prima e quelle di dopo, il racconto di una morte cercata, che è una risposta ai tradimenti ricevuti dalla volontà di vita che cieca e furiosa si aggira dovunque. Ma “Scisma” di Ilaria Palomba è anche una raccolta di poesie che testimonia la risalita dagli inferi. Non è solo un’autobiografia, ma un’universale testimonianza del passaggio di un confine sottile, sul quale tutti camminiamo.

Ogni giorno scegliamo di vivere o di morire, di esserci o non esserci. Attraverso i suoi versi, Palomba dimostra di essere coraggiosa, perché implicitamente dichiara di aver fiducia nel lettore, che, a sua volta, ha sempre la facoltà di decidere se trattare con sensibilità queste parole, o semplicemente di demolire tutto con giudizi sprezzanti.

Non ha paura Ilaria di raccontare i suoi giorni nell’Unità spinale del Cto di Garbatella, in Roma; sa bene che gli uomini hanno un cattivo rapporto con la morte, figuriamoci quali giudizi possono svilupparsi nei confronti di chi è stato graziato nonostante abbia tentato un gesto estremo. Eppure, lei sa che il suo ritorno alla vita è un calvario che le impone di abbandonare il passato e di combattere per il futuro.

Chi è Ilaria, oggi che il suo corpo è stato ricomposto; oggi che le sue funzioni vitali seguono altri percorsi? Cos’è lei in mezzo a noi? Cosa ne facciamo di questa poesia diretta, istantanea, composta durante la degenza e, quindi, paragonabile a una qualche forma di resistenza? A queste domande ognuno risponderà per conto proprio; d’altronde, poco c’entrano con l’opera. Ma è giusto porle, perché leggere è anche immergersi nell’anima di chi scrive.

Dei suicidi non hanno pietà/anche se salvati restano/suicidi. Non si perdona/di scivolare tra molteplici lingue./Ho paura di sbagliare/e cercare ogni giorno/mani mai toccate/lingue impronunciabili./Ritoccava l’ora della colazione/aver sputato su Dio/sulla luce/sul seme/sulla lente che ingrandisce e deforma/le famiglie pencolanti sugli sterpi/aver incolpato ogni creatura/del mio immenso fallimento.

Qui è prioritaria “la sospensione del giudizio”, ma non per generare un distacco, bensì per introdursi nell’argomento, nella materia lirica. Solo così si possono comprendere le scelte linguistiche, nonché la volontà dell’autrice di essere poesia “anche tra la puzza di merda”.

In questo modo “Scisma” non è la testimonianza di una separazione netta, tantomeno vuole essere la manifestazione di una schizofrenia emotiva; ma rappresenta qualcosa di più delicato e intimo, ossia quel discernimento che sa vagliare ogni cosa, che sa prendersi le proprie responsabilità senza paura delle conseguenze.

“Scisma” è anche saper guardare le cicatrici, le ferite, i dolori articolari e di ogni altra parte del corpo e dell’anima, con occhi asciutti, accettando e senza compiangersi.

Non si torna indietro/dalla visione./Verticale è solo una prospettiva./Una forma/dell’inviolata sostanza./Guardami, non ho più/nulla di umano./Resta,/ho paura del buio.

È autentica poesia quella di Palomba, perché nella sua necessità di comparire, di fermare il divenire, di immortalare, ha soprattutto l’intento di essere “qualcosa” nel mondo. Un ente con le sue radici e con la sua storia, che ha smesso di provare angoscia per il futuro.

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