Guida ai fiumi di Roma. Il sorprendente itinerario critico firmato da Stefano Marinucci

Guida ai fiumi di Roma. Il sorprendente itinerario critico firmato da Stefano Marinucci

Recensione di Maurizio Carvigno. Foto fornite dall’autore dell’articolo

Per uno scrittore, al netto del genere letterario in cui si cimenta, confermarsi dopo un eccellente esordio, è estremamente difficile perché le attenzioni, al momento della prima letteraria totalmente assenti, diventano alla seconda prova largamente presenti, se non, in taluni casi, decisamente insistenti.

Per questo confermarsi è davvero un’impresa improba, non nel caso, però, di Stefano Marinucci.

Il suo “Guida ai fiumi di Roma, storia, paesaggi e percorsi tra le antiche vie dell’acqua” edito da Intra Moenia, è, se possibile, anche più bello di “C’era una volta la Collatina antica” con cui, sempre per il medesimo editore, Marinucci aveva fatto il suo esordio in volume.

Marinucci, questa volta, lascia la solidità della terra ferma, nello specifico la fascinosa Collatina, via di storia e storie, di racconti ed emozioni, di bellezza ma anche di degrado, per una strada fatta di acqua, seguendo il corso dei fiumi legati a Roma e in questo itinerario fluviale l’incipit non può che essere il Tevere, il fiume con cui, da sempre, la Città Eterna si confronta, si scontra, si rappresenta, si fa storia e soprattutto memoria.

Come abbiamo già imparato in occasione del bel testo sulla Collatina antica, Marinucci non si limita a una lettura esclusivamente storico-paesaggistica (preziosissime le schede di itinerario che accompagnano ogni fiume descritto) che già giustificherebbe la lettura ma va ben oltre, mostrando i fiumi che bagnano Roma nel senso più esteso del verbo, in un percorso completo, di vera e pura indagine.

Perché Stefano Marinucci, corroborato da un’eclettica formazione culturale e professionale, anche in questo suo secondo libro predilige un percorso di inchiesta a 360°, rivelando queste strade fatte di acqua senza trucchi, rinunciando a ogni facile filtro con cui potrebbe edulcorare la narrazione che, invece, è sempre potente, schietta, pur non rinunciando alla bellezza, alla suggestione della parola.

Suddiviso in quattro parti, ognuna legata a una stagione del calendario, “Guida ai fiumi di Roma” porta il lettore a confrontarsi con dei corsi d’acqua molto noti ma anche pressoché sconosciuti, condotto da una prosa che è al tempo stesso discorsiva e calzante, suggestiva ed emozionante, impetuosa e fotografica.

Non solo, il Tevere, dunque, ma moltissimi altri fiumi di cui Marinucci racconta l’idrologia, la storia, le leggende, la memoria ma anche la drammatica realtà in cui quei corsi d’acqua versano per colpe riconducibili solo all’uomo.

Marinucci come in “C’era una volta la Collatina antica” alterna atmosfere bucoliche a umanissime nefandezze, ambienti pressoché incontaminati a vere e proprie discariche, vestigia di un passato glorioso a realtà di squallido abbandono.

Dall’Almone, un fiume mitico passato il cui volto oggi, però, risulta quasi invisibile, al Tusculum, il fiume praticamente scomparso, per ricercare il quale servirebbe un Indiana Jones capitolino, capace di seguire le misteriose tracce fin verso Porta Metronia, nel bel mezzo del caos urbano, dove qualcuno afferma che un tempo lontanissimo il Tusculum scorreva placidamente.

Ovviamente, non può mancare l’Aniene, dopo il sempre meno biondo Tevere, il fiume più famoso di Roma, specchio d’acqua dal passato illustre che è «un archetipo di estremità discordi» dall’idilliaca origine sui monti Simbruini che però degrada verso scenari meno bucolici, un paesaggio che nasconde incredibili tesori paesaggistici, archeologici e storici.

Non soli fiumi ma anche piccoli corsi d’acqua come il Rio Galeria che Marinucci definisce con letteraria malinconia «il fiume senza sorriso» un tempo l’ospitale casa per trote e vaironi e ora sentina di petrolio, liquami, rifiuti e altre sozzure che noi umani, impunemente, produciamo e gettiamo in acqua senza alcun ritegno, in spregio verso ogni minima regola di rispetto.

La triste, drammatica condizione di molti dei fiumi raccontati da Marinucci, come nel caso del Sacco che con l’omonima valle è forse l’emblema della sistematica distruzione dei fiumi di Roma, acque un tempo portatrici di vita e ora putridi involucri di veleni, frutto di deliberate e scellerate azione umane.

A proposito del Sacco, ecco cosa scrive Marinucci:

«Più che un fiume sembra un incubo. Le acque che scorrono ammoniscono di non restare immobili, statici, di reagire ai misfatti. Dall’epoca di Artemidoro i rifiuti e gli escrementi sono associati all’idea del denaro, Così vale per questo fiume. I risultati di un progresso malsano, quasi isterico delle merci, ha prodotto i risultati che stanno davanti agli occhi di tutti.»

“Guida ai fiumi di Roma storia, paesaggi e percorsi tra le antiche vie dell’acqua” non è, per fortuna, solo un’accurata, spietata indagine su come l’uomo sia capace di deturpare, soppiantare, distruggere il mondo che lo circonda ma è anche uno straordinario viaggio nella conoscenza di realtà a due passi dalla Capitale, ambienti che dobbiamo assolutamente propagandare ma, soprattutto, difendere, e in questo l’autore non è davvero secondo a nessuno.

Perché Stefano Marinucci, come efficacemente descritto da Sandro Bari nella bella prefazione, è uno scrittore che «scrive con la conoscenza dei siti, per i rilevamenti effettuati, per le ricerche svolte, con l’attenzione e la cura nelle descrizioni di luoghi e fatti che invogliano alla condivisione delle esperienze, ma tentano anche di educare a quel rispetto della natura e dell’ambiente del quale tutti si proclamano paladini, ma che pure viene disatteso in ogni circostanza.»

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