Il trattato del ribelle. Ernst Jünger e la “fuga nel bosco”

Il trattato del ribelle. Ernst Jünger e la “fuga nel bosco”

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Il trattato del ribelle” di Ernst Jünger, Adelphi, edizione del 1990. Questo articolo è già stato pubblicato su Gli amanti dei libri

In fondo tirannide e libertà non possono essere considerate separatamente, anche se dal punto di vista temporale l’una succede all’altra. È giusto dire che la tirannide rimuove e annienta la libertà – anche se non si deve dimenticare che la tirannide è possibile soltanto se la libertà è stata addomesticata e ormai ridotta a vuoto concetto.

Ci invita alla libertà, ad entrare nel bosco, ad essere veri ribelli rifiutando tutto ciò che è moderno. Non ci chiede di diventare vigliacchi o anonimi, accettando quello che accade. No, Ernst Jünger ci suggerisce di darci alla macchia, di riscoprire noi stessi nel bosco, luogo in cui possiamo ritrovare la nostra essenza sovratemporale.

L’autore tedesco scrive questo breve saggio nel lontano 1951. Lo fa come se di fronte a lui avesse una sfera di cristallo che gli mostra nitidamente l’evoluzione dei tempi. Parte dalle elezioni, da quel dire sì o no attraverso una scheda. In entrambi i casi siamo in trappola.

Il nostro “sì” darà forza all’oligarchia dominante; il nostro “no” la legittimerà ancora di più, perché la democrazia si nutre soprattutto del dissenso e proprio la presenza del dissidente giustifica la creazione dei meccanismi di difesa dello Stato.

Cos’è quindi la democrazia? Statistica, numeri attraverso cui l’oligarchia dominante compie delle scelte tese a difendere e ad organizzare il sistema. La concessione di qualsiasi diritto o di nuove libertà è solo una lieve scossa di defibrillatore ad un cuore che deve battere il meno possibile.

Per tanto, la terza via è il bosco. Un cercare se stessi lontano dai Titani, in particolar modo da quel tempo terreno che divora i suoi figli. Ernst Jünger rispolvera la figura del Waldgänger, che nell’antica Islanda indicava il rinnegato che si nascondeva nella foresta per vivere liberamente e in solitudine.

Nonostante tutto lo scrittore tedesco mette in guardia dai pericoli che bisogna affrontare. Il bosco non è il paradiso, ma il luogo della paura, della prova e della morte. Eppure, proprio la paura, la morte e la prova sono argomenti che l’uomo moderno non vuole più trattare. Ma se queste cose non esistessero o terminassero di avere effetto sulla vita delle persone, rimarrebbe solo un’esistenza di istinti, simile a quella degli animali.

L’umana grandezza va conquistata lottando. Essa trionfa quando respinge nel cuore dell’uomo l’assalto dell’abiezione. Qui è racchiusa la sostanza della storia. Nell’incontro dell’uomo con se stesso, o meglio con la propria divina potenza. Chi vuole insegnare la storia deve saperlo. Socrate chiamava il suo demone questo luogo segreto da dove una voce, che era già al di là delle parole, lo consigliava e lo guidava. Potremmo chiamarlo anche il bosco.

Queste sono le idee che Ernst Jünger lascia ai posteri. A distanza di sessantasei anni dalla pubblicazione, questo libro resta attuale. Siamo in presenza di un pamphlet anarchico di cui ci si innamora facilmente.

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