La vergogna d’amare

La vergogna d’amare

Racconto di Rosanna Pontoriero. Foto in copertina: “Donna al caffè”, Antonio Donghi, 1931

Non c’è. Oggi non è passato per niente e non ha neppure visualizzato lo stato. Certo mica può stare appresso a me, avrà i suoi impegni: forse è partito, oppure lavora, potrebbe essere andato dai nonni, o semplicemente è alle prese con un amore suo…

Carla si torturava, persa nelle perifrasi d’amore, con astrusi sillogismi umani: mi ha vista? Mi ha salutata? Sorrideva? Ha visto la mia storia? Polemizzava giorno e notte con una parte della sua coscienza, era spesso un parlottare senza fine, che la lasciava inquieta, a disagio, persa. Trascorreva pomeriggi sull’uscio della libreria Torretti, dove lavorava, con il telefono in mano, aspettando che una Golf grigia vi passasse davanti, come accade per tutte le infatuazioni del mondo. E, ovviamente, non era affatto la prima volta che le capitava, ma questa volta non rientrava nella sua zona di comfort: Roberto, il conducente della Golf, aveva diciotto anni e due mesi, mentre Carlotta ne aveva trenta suonati.

E lo so cosa state pensando: e allora? Che male c’è? L’amore è indomabile. No, per le donne non è sempre tutto così naturale e Carla si giudicava, nonostante l’ebrezza dell’innamoramento, temeva di vedersi ridicola, di sentirsi una tardona inadeguata. Uno sguardo severo la penetrava e con voce stizzita la riprendeva: “Carla ma che cazzo pensi?! Dai figlia… hai trenta anni sventolati!”. Era il suo odioso grillo parlante, o meglio il sentire degli altri, l’eco della gente, il peso dell’essere femmina. E nei momenti di obiettiva lucidità, tra una confezione regalo e l’altra in libreria, Carla pensava a quanto le donne fossero criminalizzate nei sentimenti, nel desiderio, nella sessualità.

Sabato pomeriggio ore 18. Roberto, fisico leggermente robusto, spalle larghe, occhi chiari, capelli castani, sfrecciava da corso Gobetti, rallentando all’altezza della libreria, il tempo di catturare un sorriso pieno di desiderio e disagio, tenerezza e imbarazzo, attrazione e impaccio. Non avevano nulla in comune e di certo non avrebbero avuto spazi condivi per incontrarsi: Roberto veniva da una adolescenza complicata e turbolenta, si era appena impiegato come operaio e aveva una grande passione per le moto e la velocità; Carla aveva trascorso gli anni migliori a studiare, si era laureata da poco in Scienze Politiche, aveva trovato un lavoro part time come libraia.

Viveva con la madre, un gatto anziano e una cagnolona. Sino a quel momento aveva amato uomini molto più grandi di lei, mai si sarebbe potuta immaginare di invaghirsi di un ragazzo. Era stata una grande sorpresa della vita, che non sapeva come manifestare, rivelare. Certamente, aveva paura di prendere un due di picche, che nella posizione in cui era sarebbe tuonato tremendamente doloroso.

Roberto e Carla si erano parlati circa un paio di volte per questioni apparentemente banali, quotidiane, in realtà quei suoni distratti erano stati un boomerang di emozioni contrastanti, il pretesto per approcciarsi. Roberto era un ragazzo timido, abituato ad affogare le emozioni nel silenzio della virilità indotta. Nascondeva un lato dolce, ma non sapeva come muoversi, forse non era in grado di ascoltarsi. Quella reciproca attrazione rischiava di trasformarsi in un pantano. Roberto arrossiva, sembrava sicuro di sé solo quando era in sella alla sua moto.

E intanto le settimane trascorrevano, tra una presentazione e un laboratorio di lettura per bambini, Carla sull’uscio della libreria all’ora del crepuscolo, tra i rumori della strada, l’inizio della sera, il via vai di adolescenti, si sentiva letteralmente morire e rinascere: avrebbe voluto fermare il tempo e magari anche quell’auto grigia, che ormai riconosceva in mezzo a milioni di macchine. Immaginava tutti i giorni la scena, la favoleggiava come fosse una scenografa, variandone tempi e parole: “Sai Roberto, lo so ci conosciamo appena, ma quando ti vedo i vestiti mi si appiccicano a dosso, le labbra mi si asciugano e sento il respiro in gola. Ti desidero, vorrei conoscerti, baciarti, amarti”.

E poi un pomeriggio di fine maggio, umido e piovoso lo fece davvero, roba da non credere: fermò l’automobile, indossava un vestito verde con le margherite bianche, si sedette in macchina e senza esitare né pensare baciò Roberto. Solo molti minuti dopo gli disse con voce affannata: «Da mesi desideravo di amarti, ma mi vergognavo da morire». Si sentì come se avesse vinto il giro d’Italia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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