Cent’anni di solitudine. Il capolavoro di Márquez che mai tramonta

Cent’anni di solitudine. Il capolavoro di Márquez che mai tramonta

Recensione di Letizia Falzone. In copertina: “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Márquez, Mondadori, prima edizione 1967

“… perché le stirpi condannate a cent’anni di solitudine
non avevano una seconda opportunità sulla terra”.

Pensavo che nulla potesse superare “La casa degli spiriti” di Isabelle Allende, e invece mi trovo a parlare di un libro che lo supera a dismisura. Credo sia stata una delle letture più straordinarie della mia vita.

Cent’anni di solitudine non è un libro per tutti. Se letto nel momento sbagliato potreste decidere di abbandonarlo. Ma, se invece lo leggete quando il vostro animo è predisposto alla magia, al mito, all’illusione, ad un intricato gioco di specchi e labirinto di trame intrecciate, allora potrebbe diventare uno dei vostri libri del cuore. Come è successo con me.

Voglio spiegarvi l’origine di questo romanzo. Gabriel Garcia Márquez è uno degli autori simbolo del cosiddetto “Realismo Magico”. Uno stile narrativo nato in Spagna nel XX secolo in cui si mischiano elementi reali e soprannaturali senza che questi ultimi risultino tali. Si tratta dunque di mondi, paesi e momenti storici reali in cui si verificano fatti straordinari che rispecchiano la cultura e le tradizioni della Spagna.

Cent’anni di solitudine è considerata l’opera più rappresentativa di questo genere letterario. Pubblicato il 5 giugno del 1967, vendette in sole due settimane ottomila copie facendo il tutto esaurito. Márquez, al quale ottomila copie per la prima stampa parevano un numero esagerato, rimase sbigottito dal successo. Da allora il successo di quest’opera non si è mai arrestato. Nei tre anni successivi alla prima pubblicazione ha venduto 600.000 copie. A oggi parliamo di oltre 50 milioni di copie vendute dalla pubblicazione.

Cent’anni di solitudine è la storia della famiglia Buendía e del villaggio, chiamato Macondo, fondato dai sui capostipiti: Ursula e José Arcadio. La saga comincia con la paura di Ursula che, essendo la cugina di José Arcadio e una donna saggia ma superstiziosa, teme di generare un figlio con la coda di maiale. La famiglia però nel frattempo si moltiplica normalmente con il passare del tempo e sembra proprio che tutti i componenti vogliano inconsapevolmente inseguire un solo destino: quello di generare un figlio con la coda di maiale.

Il romanzo straborda di personaggi con personalità, caratteristiche e aspirazioni diverse le une dalle altre e il cui unico denominatore comune è la solitudine: la solitudine da cui sembra impossibile scappare e dalla quale non possono nascondersi. Nella visione della vita di Márquez, sembra non esserci via d’uscita dal dolore, dalle sofferenze e dalle disgrazie, se non l’accettazione del destino e l’attesa della morte, che fa scivolare inevitabilmente qualsiasi cosa nell’oblio.

Márquez riesce a racchiudere in quest’opera svariati temi, come l’isolamento, la scienza, la magia, i miti, il tempo e la resurrezione adottando uno stile tutto suo. La storia, infatti, è narrata con uno stile elaborato e personale, ricco di prolessi che anticipano drammaticamente gli avvenimenti ancora da narrare. Così, nonostante si sappia già in che modo si concluderà la vita di ogni singolo personaggio, non si sa quali siano le cause e le circostanze che lo guidano a tale destino: perché forse, talvolta, l’importante non è la meta, ma è il viaggio che ti riporta a giungere tale meta.

Ogni personaggio insegue una meta, che alla fine si rivela effimera: dagli amori irraggiungibili o proibiti dei personaggi femminili, ai sogni, il più delle volte mai realizzati, dei personaggi maschili. Tutto il racconto è come una ruota che, appunto, nel giro di cent’anni, ritorna sempre al punto di partenza: ogni “eroe” vive il suo destino ineluttabile di solitudine. Una sorta di circolo vizioso da cui pare non si possa uscire. I Buendía, le cui sette generazioni sono i protagonisti, sono segnati da un destino che si ripete per ogni discendente.

Una narrazione tumultuosa, una favola insonne, una magia del racconto, un fiume di parole che sa di parto prodigioso, una maledizione che sa di fiabesco, un dannato ritmo strategico e proletario. Márquez t’incanta, non con la grammatica, ma con il fascino di un enorme racconto da focolare.

Márquez ci consegna il suo più forte messaggio con grande genialità: raccontandoci una favola per adulti. Un mondo di lucida follia, nel quale entriamo come Alice nel Paese delle Meraviglie e non dobbiamo stupirci se qui tutto può succedere. Girando l’ultima pagina del libro, ho sperimentato quello che la famiglia Buendía ha vissuto per cento anni: una profonda solitudine.

Ho sentito subito la mancanza dei personaggi che mi hanno accompagnata in questo viaggio e non vedo l’ora di tornare presto a Macondo grazie alla serie che sbarcherà su Netflix dedicata proprio al romanzo di Marquez.

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