Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia

Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia” di Michele Ruol, TerraRossa edizioni, 2024

In “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia”, il dolore è una sostanza densa che si ripiega su sé stessa. Non fa più passare la luce, non permette al suono di propagarsi, anche il tempo viene annullato. Il dolore è quindi come una stella che collassa; partorisce un buco nero che inghiotte tutto, riconsegnando oggetti e persone a una dimensione in cui esiste l’immobilità. Persino di sé stessi non vi è più percezione. 

Accade così a Madre e Padre, i quali hanno perso i loro figli, Maggiore e Minore, in un incidente stradale. L’unica ancora di salvezza, per i due superstiti, è aggrapparsi alle cose che furono, siano essi ricordi, siano essi oggetti che hanno vissuto insieme, nello scorrere del tempo, fino al giorno della tragedia. Poi tutto si è fermato e si è spento. 

Man mano che sfogliamo le pagine del romanzo, avvertiamo che nulla più scorre. La realtà è fredda; persino i ricordi sono riportati in una manciata di righe, tanto da sembrare epitaffi. La morte di una persona cara tormenta sempre chi rimane in vita, trascinando coloro che restano tra dubbi e angosce; figuriamoci quando questo avviene all’improvviso, nel mezzo di una tranquillità costruita con privazioni e sacrifici. 

Michele Ruol fa della sofferenza la protagonista di un’opera costellata da sperimentazioni di “senso”, in cui persone e oggetti diventano alienati elementi di un mondo piombato, per Madre e Padre, nella stasi. Con uno stile minimalista, che ricorda la prima parte dell’immenso romanzo di Agota Kristof, Trilogia della città di K., attraversiamo uno scenario dominato dall’assenza. La voce esterna che racconta tutto con lucidità, senza invadere, ma solo mostrando, ci fa nuotare soli nel dolore.

Segreti familiari, aneddoti, tentativi di rinascita, ci fanno seguire con attenzione il “prima” e il “dopo” di questo incidente mortale. Se è vero che il libro di Ruol è “fisico”, è anche giusto dire che non è un’opera in cui a trionfare è la “morte”. La vita, con il suo divenire, il suo incessante cammino e le sue eterne mutazioni, si è solo addormentata in un angolo. Ma non è un sonno profondo, bensì a disturbato dalla ricerca di un “perché” consolante.

Infatti, parafrasando Elias Canetti, appena finito questo romanzo ho pensato che avrebbe potuto intitolarsi benissimo “Inventario delle cose contro la morte”. Ma non svelo nulla, perché è giusto che ognuno percorra questa strada in assoluto silenzio, percependo l’assenza come qualcosa che, paradossalmente, si racconta senza veli.

Ruol scrive un romanzo che chiede un’immersione totale tra le parole; a volte potrebbe anche risultare difficile, perché bisogna restare in apnea per coglierne tutti i significati. Poi, però, si risale e anche la morte non fa più paura.

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