La dura vita di un calabrese tra politici apprendisti stregoni

“La dura vita di un calabrese tra politici apprendisti stregoni” è un articolo di Martino Ciano. La foto in copertina è stata scattata e rielaborata dall’autore
Calo demografico, spopolamento, pochi servizi mal gestiti e degrado del dialogo. Il popolo guarda, passa e se ne frega. La storia calabrese la racconti anche così, purtroppo. La vivacità, ma neanche tanto, torna di moda quando la campagna elettorale per le comunali si avvicina. In poco tempo tutto appare chiaro, ma passato lo spoglio delle schede ci si dimentica ogni cosa.
Si attendono nuovi nomi, illibati da sacrificare in riti collettivi. Il risultato è il seguente: i neofiti diventano apprendisti stregoni. Consiste anche in questo la dura vita di un calabrese.
Possibili derive in cui incappa l’uomo al comando: l’uso del “tu” è puramente casuale
Il potere è una brutta bestia, soprattutto se governi un paese di poche anime. Vuoi avere l’ultima parola su tutto e tutti; profetizzi tramite i social e conti i “like” e le condivisioni.
Fondamentalmente sei un boomer, quindi certe dinamiche non ti appartengono; sei più abituato alla vecchia interlocuzione vis-à-vis, senza testimoni. Però il social ti piace, perché esci fuori dai confini, quindi ti senti un conquistatore, una sorta di Giulio Cesare che passa non uno, ma infiniti Rubiconi restando seduto in un ufficio. Se poi hai azzeccato la giusta inquadratura, con un “filtro” che ti rende luminescente, allora hai buone possibilità di diventare l’uomo dell’anno.
Mentre fai il giro del web, contando i fan e gli hater, sghignazzi con i tuoi apprendisti stregoni e ti prepari a colpire i “traditori” e gli “infami” delle varie famiglie a te contrarie. In caso di parentele trasversali, tu crei il sottoinsieme “individui amici apparentati a soggetti nemici” e imponi a costoro una legge draconiana: o con me o contro di me. Spaccare il tessuto sociale è un gioco affascinante, il momento in cui si dimostra “chi ha le palle e chi comanda”.
La dura vita del calabrese è senza democrazia?
Sia ben chiaro, ognuno è libero di dire o di pensare ciò che vuole, l’importante è non avere interessi più o meno forti nel territorio in cui si agisce, altrimenti sono cazzi amari; per lui logicamente. Se invece l’aspirante strafottente vive del necessario e si accontenta del suo salario, viene solo isolato e schernito, diventando il buffone che sta bene ovunque.
La libertà di pensiero è una dichiarazione di guerra. Gli apprendisti stregoni devono imparare la lezione, le cariche che ricevono sono i segni del passaggio dei vari esami di fedeltà. Ma si badi bene: anche nelle maggioranze consiliari esistono i fedelissimi, i fedeli ma non troppo, i sacrificabili e quelli che “meglio tra noi e in silenzio, piuttosto che in minoranza a parlare troppo e male”.
La dura vita del calabrese diventa più semplice durante la campagna elettorale, ma solo perché c’è una sorta di “pax” in cui tutti diventano teneri micetti che fanno le fusa al popolo. Tra svariati “miao miao”, come in uno stupefacente Carnevale che capovolge il mondo, tutto si sanifica e si santifica. In questo lasso di tempo, la democrazia diventa la miglior forma di convivenza inventata dagli uomini.
Insomma, questa è la dura vita di un calabrese tra politici apprendisti stregoni. Certo, c’è da dire che la dura vita piace al calabrese, tant’è che nella maggior parte dei casi sceglie con il proprio voto chi lo fa penare. Non facciamo di tutta l’erba un fascio, il beneficio del dubbio è d’obbligo… fino alla prossima incazzatura.