La lunga storia dello spazio pieno. Luciano Siviglia tra l’Etere di Aristotele e il campo gravitazionale di Einstein
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Dall’etere di Aristotele al campo gravitazionale di Einstein” di Luciano Siviglia, Il ramo e la foglia, 2024
Era proprio impossibile per i Greci credere che esistesse il vuoto; tutto per loro era calato in qualcosa, nella sostanza. E proprio su questa materia invisibile agli occhi, ma che comunque manifesta la sua presenza, si sono creati pensieri arditi e fantasiosi. La parola “etere”, quello spazio puro che sta al di là dell’atmosfera, ha cominciato a circolare tra i sofisti, fino a giungere anni dopo tra le supposizioni del buon Aristotele, che ne ha parlato talmente bene e con tanta convinzione, che per secoli e secoli tutti hanno dovuto farci i conti, persino Einstein.
Benvenuti nel saggio di Luciano Siviglia, un libro dal sapore divulgativo che chiede al lettore la sua attenzione, mettendo alla prova la sua disposizione alla scoperta. Ciò di cui tratta forse spaventerà tanti, ma non capisco perché questo dovrebbe avvenire. Forse è solo un mio pregiudizio. Con molta dimestichezza, senza appesantire le pagine, c’è l’esposizione di un excursus filosofico e scientifico che interessa tutti, proprio perché ogni giorno verso il cielo rivolgiamo lo sguardo e gli consegniamo le nostre perplessità.
Alla fine, Einstein darà ragione ad Aristotele, o meglio sfrutterà la sua intuizione e chiamerà l’etere “campo gravitazionale”. Logicamente, tante cose il filosofo non poteva saperle, ma ci pensate che senza avere i mezzi che aveva Einstein e che ci sono oggi, lui ha intuito tutta questa meraviglia? E ci riflettete sul fatto che anche prima di lui altri, tra cui Platone, avevano intuito gran parte della faccenda?
Rivolgiamo l’attenzione alla chora, quel “luogo” in cui avviene il movimento, il divenire, il mutamento, in cui qualcosa agisce; un agire determinato da tanti fattori, molteplici forze, sostanze che si mischiano e si accapigliano a vicenda. Ecco, con questa spiegazione “casereccia”, anche frettolosa, sto cercando di spiegarvi come quegli uomini facevano scienza. Dall’età moderna in poi, però, quando dalla scienza fu scacciata la metafisica, tutto è diventato equazioni algebriche, numeri, formule e tanto altro.
Un’evoluzione importante, sia ben chiaro, altrimenti saremmo rimasti solo sognatori, idealisti, magari filosofi; non avremmo mandato satelliti nello spazio, non saremmo andati sulla luna, non avremmo tutto ciò che abbiamo tra le mani. Grazie a formule ed equazioni sappiamo che “quella cosa è qualcosa di ben determinato”, ma permettetemi, che ne facciamo di ciò che non è? E Luciano Siviglia ci parla anche di questo, perché c’è anche un’altra ricerca in ballo: quella sull’esistenza o meno del vuoto.
Ma andiamo oltre. Avrete capito che il libro di Siviglia mi ha proprio incantato, perché di questi saggi ne vorrei leggere tanti. È bello scoprire che, molte volte, Aristotele e miriadi di altri uomini dopo di lui, si sono lasciati ingannare dalle loro errate supposizioni, anche pericolose; però, l’errore è importante, anzi è fondamentale. Senza errore, anche se grossolano o madornale, non ci sarebbe più ricerca. Fatto sta che sull’etere il filosofo di Stagira ci aveva “azzeccato”. Come ci sia riuscito resta il vero mistero.
“Tutto è immerso in qualcosa, compresi noi”; ce lo dovremmo sempre ricordare, così capiremmo quanto siamo invischiati nel cosmo e anche che siamo elementi in mezzo a infiniti elementi, tutti unici e importanti. Insomma, è proprio democratico e paritario l’Universo nel quale abitiamo.