Serge, o delle ordinarie stravaganze di una famiglia
Recensione di Antonio Maria Porretti
Non so se Yasmina Reza segua una religione in particolare nella sua vita, di certo con la sua scrittura mostra di avere una fede senza riserve nella lucidità.
Che si tratti di narrativa o pièces per il teatro, poco importa. La perseveranza e l’ardore della sua pratica, mi fanno pensare alla strategia che un matador potrebbe mettere in atto e perseguire fino a giungere al “momento della verità” con il suo toro.
Quando lo sguardo dell’uno si conficca in quello dell’altro. In Serge, l’animale da affrontare e afferrare per le corna ha le sembianze di una famiglia. Una come tante, con relazioni e legami sempre più in corso di sfaldamento. Tema già abbordato da Reza in altri suoi precedenti lavori (“Felici i Felici” e ” Il dio del massacro”, giusto per citarne due tra i più noti). Ancora una volta sorprende l’originalità della sua visione, giacché in questo caso l’arazzo che intesse sul telaio di una comune origine e appartenenza, si innesta e sovrappone a sua volta sulla tragedia dell’Olocausto.
Serge, Jean e Anne (fetta Nana) Popper sono francesi di origine ebrea. Nessuno di loro ha però mai fatto i conti con questa eredità genetica, fino a ora vissuta prevalentemente per via indiretta, attraverso storie di famiglia a far da sfondo alla loro infanzia e adolescenza, quando vivevano ancora tutti insieme sotto lo stesso tetto.
La morte di Marthe, la madre, e soprattutto un viaggio ad Auschwitz, voluto e organizzato da Joséphine, figlia di Serge e unica giovane esponente della famiglia a mostrare la volontà di conoscere e comprendere, li riporterà tutti geograficamente e emotivamente al contatto con le proprie radici. Ognuno reagirà a modo suo e Reza osserva e riporta da par suo ogni singola variante di approccio e coinvolgimento. Compreso l’atteggiamento anestetizzato e asettico di Serge che non si fa scrupolo di mostrare la sua totale estraneità.
C’è una riflessione di estrema scomodità e sottigliezza che Yasmina Reza opera in questa osmosi tra piccola e grande storia: che cosa resta, che cosa sopravvive di uno stesso Dna nel tempo?
Il rischio di una cancellazione e rimozione è già una realtà; una guerra mossa all’attacco di una Memoria che potrebbe un giorno scomparire nell’indifferenza di un silenzio glaciale. E tornando in parallelo alla famiglia, cosa può tenere ancora uniti fratelli e sorelle, quando il punto fermo genitoriale è ormai sepolto?
Sotto conformismi o convenienze di facciata, c’è dell’ altro? I legami si sfilacciano, i ricordi sbiadiscono, manipolati spesso da una memoria in cerca di indulgenze di auto-assoluzione.
Sono sempre troppo poche le coscienze dotate di un coraggio sufficiente ad affrontare con occhio depurato da emotività di comodo o di parte, quel “momento della verità”. Impresa difficile, certo, anche tanto e troppo, ma non impossibile. Occorre avere la volontà di allenarsi a compierla; esiste una propedeutica al riguardo: osservarsi, uscendo da sé stessi.
C’è anche chi ce l’ha per indole. Non è una fortuna, nemmeno un privilegio riservato dalla sorte, semplicemente un dato di fatto. Una circostanza e caratteristica del laboratorio biologico che ciascuno allestisce e organizza al proprio interno. Anche con “Serge”, Reza disseppellisce verità nascoste. Anche con ” Serge” non blandisce, né lenisce. Piuttosto ferisce, armata soltanto di quella nettezza cartesiana così connaturata alla grande letteratura francese di ogni epoca.
Per chi può, consiglio di leggere questo libro in versione originale, altrimenti lo si trova come sempre pubblicato da Adelphi. L’importante è leggerlo e non farselo scappare.