Esserci autenticamente. Un’opportunità

 

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Articolo a cura di Martino Ciano – già pubblicato su Zona di Disagio

Di fronte a questo virus siamo diventati autentici?

Partiamo da qui per riflettere su questo momento di fragilità, ma che attraverso gesti amorevoli e solidali ci sta pienamente ricollocando nella nostra umanità.

Ritornano adesso le parole di Martin Heidegger. Nel suo Essere e Tempo si concentrò molto sulla differenza tra Ci Si, due particelle usate distrattamente, ma che rendono perfettamente l’idea di quanto riusciamo a inserirci nella storia e nel qui-ora.

Se Ci, attributo dell’EsserCi, ossia, dell’uomo in cammino e custode dell’Essere, indica uno stato di partecipazione e di autenticità, Si diventa un distanziamento da ogni Ente e da ogni Tempo che non sentiamo nostri. Ma se il mondo è tutto ciò che noi vediamo e tocchiamo, se esso è in continuo dialogo con noi, come è possibile prenderne le distanze? Heidegger nota che l’uomo allontana da sé l’dea della morte proprio nel momento in cui dice si muore. È attraverso questa spersonalizzazione della morte, come se essa non toccasse mai me ma solo gli altri, che il filosofo tedesco intravedeva la disumanizzazione del pensiero e la volontà di svestirsi dei panni da pastore dell’Essere. Ecco perché per Heidegger l’uomo è vero nella morte, perché solo nel momento in cui riconosce la sua caducità, egli è pronto a prendersi cura dell’Essere e a vivere nel tempo propizio.

E qui pongo una domanda, vale la pena chiedersi se la vita abbia o meno un senso?

Ecco perché, in questo momento di quarantena forzata e di limitazione delle libertà personali in nome della salute pubblica non possiamo dire l’altro si ammala, ma solo noi ci ammaliamo. È in questo ritorno a un linguaggio attivo autentico che partecipiamo alla storia dell’Essere, che non è qualcosa di astratto, ma una epifania del tempo propizio.

L’autenticità dell’Esserci, ossia, dell’uomo, si mostra attraverso la cura, che nel linguaggio heideggeriano è l’aver cura con, in quanto è un atto che inizia in me e termina nel noi.

Ecco, è ora il momento di essere autentici e questa non  è una speranza ma un imperativo categorico.

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