Kali Yuga. La quantità del non essere

Kali Yuga. La quantità del non essere

Articolo di Martino Ciano

In un tempo non troppo lontano, quando ancora la Terra era un mistero, gli uomini rivolgevano le loro domande al cielo. Con gli occhi velati dalle lacrime e pregni di una nostalgia ancestrale, scrutavano i fiumi invisibili che scorrevano tra le costellazioni. Come in cielo così in Terra, essi sussurravano, consci della limitatezza dei loro sensi segregati in corpi-gabbia in cui le anime si dibattevano. Difficile, in questo modo, percepire il Tutto, l’Uno, l’Indivisibile.

Eppure, su ciò che non riuscivano a dare una spiegazione, quegli uomini ponevano un’aureola. Nacque così il mito e la poiesi, lavorio dello spirito spontaneo e anonimo. Tale anonimato non era dettato dal fatto che questi uomini fossero omertosi o perché non esistesse il copyright, ma perché la spersonalizzazione era sublimazione dell’io e tentativo di riunirsi a quell’Uno indivisibile, dal quale si nasce e al quale si torna. In fondo, la molteplicità è solo su questa Terra, in questo popoloso deserto, nel quale meccanicamente nasciamo e meccanicamente moriamo.

L’incontro tra essenza e sostanza

Tutte le Teogonie iniziano con l’incontro tra Cielo e Terra, ossia, tra Essenza e Sostanza, Qualità e Quantità. Ogni inizio necessita di luce. Sul Mondo avvolto dalle Tenebre irrompe lo sguardo luminoso del Cielo; un Sole che dà avvio allo svelamento e alla percezione. Fiat Lux e luce fu. Da allora, lo spazio si è mischiato al tempo e nel suo movimento costante, in cui anche tutti gli Enti sono in cammino, nulla appare per perire sulla Terra, ma è legato in maniera indissolubile al Cielo.

Così l’uomo ha sempre alimentato il suo rapporto con il sacro, proteggendo ciò che era misterioso e segreto. Non tutto poteva essere spiegato, ma spiegare ogni cosa non era il problema dell’uomo. L’importante era saldare sempre di più, giorno dopo giorno, il legame con il Cielo. Infatti, l’uomo ha sempre portato nel cuore l’idea che provenisse da quello spazio lontano del quale conservava un ricordo rarefatto, una reminiscenza; magari, il ricordo di un pezzo di Iperuranio. Tutto andava bene, purché durante i suoi sogni o i suoi momenti catartici fosse riuscito a rivedere l’altrove, ossia, la sua Patria. Risorgeremo tra le braccia dell’Essenza.

Il modernismo ha distrutto il senso del sacro

Il modernismo ha distrutto il senso del sacro. Lo ha considerato superstizioso e lo ha relegato in un cantuccio, rendendolo quasi invisibile. Non parliamo della religione, che attraverso il suo dogmatismo ha reso meccanico e burocratico il rapporto con il Cielo dell’umanità, ma del metafisico, luogo che ormai non si ha più il coraggio di visitare. La tecnica ha reso superfluo il dialogo con l’altrove. Oggi tutto è statistica, anche il Cielo. Pensiamo all’astrologia, quella cosa in cui nessuno crede ma verso cui tutti tendono le orecchie. Guardiamo al sapere esoterico, convertito in discussione da salotto o reso argomento di attrazione per imbrattare le pagine di qualche saggio alternativo.

Bastano questi esempi per far notare quanto ambigua sia la società, che da una parte cerca il sacro, mentre dall’altra lo ironizza e lo degrada a passatempo. L’ancestrale bisogno di rivolgere il proprio sguardo verso il Cielo delle domande e delle idee non è venuto meno, piuttosto, il sacro è stato barattato con l’esasperato razionalismo, innescando quello schizofrenico male di vivere che dona all’uomo un aspetto messianico.

Tutti abbiamo una missione da compiere nell’epoca del Kali Yuga

Nell’epoca dello spettacolo tutti abbiamo una missione da compiere, tutti sono pervasi da un senso di immortalità, nessuno vuole morire. La morte, ossia, la porta di ingresso per l’altrove alla quale si bussa serenamente solo se si ha coscienza del sacro, è oggi un nemico innominabile. Nell’Universo dei moti perpetui, delle orbite calcolate matematicamente, della statistica e della scienza inumana, non c’è posto per la morte. Il mondo stesso, senza morte, è diventato un Universo che l’uomo ha costruito a sua immagine e somiglianza. Perirà con lui?

“È questa l’epoca del Kali Yuga – scriveva Rene Guenon nella premessa del suo Il regno della Quantità e i segni del tempo – è un tempo di ignoranza e di oscurità in cui l’uomo misura tutto secondo se stesso”.

Di tutto ciò noi siamo testimoni o è solo un’impressione… una delle tante?

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