Un incontro, un cocktail e un G7

Un incontro, un cocktail e un G7

Articolo di Saverio Di Giorno. Foto di Martino Ciano

Non vedevo Ferdinando da due o tre anni. Ed era ancora di più il tempo che non parlavamo diffusamente, di fronte ad un aperitivo, con calma. Circa setto o otto anni. Colleghi della triennale in Scienze Politiche: anni di continui e serrati dibattiti su ogni notizia. Entrambi a sinistra, socialista e forse un po’ più radicale io, liberale e riformista lui. Come va? Abbastanza bene. Per il resto? Ecco, per il resto non tanto, è stato eletto Trump! Be’, allora non va neanche tanto male. Va esattamente come setto o otto anni fa. Una delle ultime discussioni era proprio questa. Ma allora cosa è cambiato?

Abbiate pazienza: di che altro possono parlare due ex studenti di Scienze Politiche che si incontrano di nuovo? Certo, setto o otto anni fa più che una vittoria di Trump era una sconfitta della Clinton, della sinistra elitaria, ora è proprio una sua vittoria. E via di analisi, commenti salvo poi passare al cinema e ai film di Sorrentino. Entrambi abbiamo macinato un po’ di chilometri in questi otto anni, messo da parte qualche carta in più. Il barista ci serve l’aperitivo in bicchieri di vetro; un tempo sarebbero stati di plastica nota Ferdinando. Si è imborghesito, ormai il turismo ha alzato gli standard, dico. E no, siamo noi che non sembriamo più studenti a cui rifilare la plastica, risponde.

Mi pare un’argomentazione debole. Il vetro non è un testimone attendibile, signori della giuria. Respingo l’accusa, con tutto me stesso. L’altra settimana sono salito a Napoli a manifestare contro il G7 della difesa esattamente come sette o otto anni fa. Insomma, signori, io ci sono sempre dietro gli striscioni, dalla stessa parte della barricata! Il battesimo di fuoco fu il 2019, la prima volta che Salvini entrava a Napoli e al Sud. Una manifestazione imponente, diverse migliaia di persone. La mostra d’oltremare (per chi non fosse pratico è abbastanza lontana dal centro storico di Napoli, particolare da tenere a mente), blindatissima. Chilometri a piedi all’andare tra i canti e di corsa al ritorno seguiti da camionette e cariche. Ne parlarono i tg per giorni degli scontri. E anche adesso stesso clima teso, ma magari un po’ di consapevolezza in più sulle dinamiche di un corteo. Questa volta il G7 era a Palazzo Reale (nel pieno centro di Napoli) e sono bastati pochissimi chilometri a piedi.

Ancora una volta qualche corsa, qualche fumogeno. Ecco signori della corte: questo è cambiato! Anni fa li sbattevano fuori dalla città a parlare di morte. Ora nel centro. Contro la zona rossa e il cordone, prima, ci si impattava dopo una bella marcia, adesso subito. La loro avanzata è quella di Trump. Si sono incattiviti loro, non sono io che bevo al bicchiere di vetro. Loro nei palazzi, noi nelle strade come da insegnamenti. Nessun accomodamento. Il mio dovere l’ho fatto sempre!

Ferdinando non cede all’arringa. Nonostante mi sia accalorato e stia sudando a novembre (ecco quello climatico è un altro cambiamento). Mi dice che sono caduto in errore dicendo che “ho fatto il mio dovere”. Era un compito da assolvere, e non un piacere da seguire, dunque?

Be’… Entrambi, forse. Sorseggio dal mio bicchiere di vetro. Mi accomodo solo un po’ per calmarmi. Non mi pare il caso di sottilizzare sulle motivazioni recondite, provo a minimizzare. Ecco, magari potrei aver pensato, nel tempo, che, se si riesce ad agire sul mondo di una sola persona con uno scritto, una parola, un singolo gesto, potrebbe essere tanto importante quanto farlo sul mondo di tutti.

Insomma, a me la vita l’hanno sempre cambiata alcuni gesti di sfuggita, alcune singole persone, non i manuali né i manifesti. Le poesie, quelle che non si consumano nemmeno se imparate a memoria, a differenza degli slogan. Forse è questo quello che adesso mi va di presidiare: le singole persone, i momenti intimi, le occasioni contro cui resistere. Poi l’Esser-ci per essere, usare il corpo, certo quello resta. È un dovere, appunto. Ecco questo forse è cambiato. Più che un’arringa, ora, è una confessione.

È più facile! E no, facile obiezione, me l’aspettavo. Non è più facile, anzi. Le barricate del sentire delle persone si forzano molto meno facilmente di quelle del sapere. Occorre superare abitudini, diffidenze, paure. E non nemmeno più immediato. Ma è più definitivo! Concludo trionfante; ma incrocio un’alzata di sopracciglia, non persuasa né da poetica né da retorica e nemmeno dai giochini di parole di Heidegger.

Il tuo mondo, il suo mondo… Mentre tu pensi ai mondi personali. Il mondo questo è: quello che sta arrostendo, dove vince Trump e la questura autorizza due chilometri invece di venti. E la prospettiva è sulle piccole e singole vittorie non perché pensi sia più facile, né più immediato, ma perché pensi siano le uniche possibili. Questo è cambiato in questi otto anni. E lo pensi perché in questi otto anni malaccio non ci è girata, altrimenti penseresti che nemmeno i percorsi singoli siano possibili.

Mi accomodo un po’ meglio. E sorseggio dal mio bicchiere di vetro. Il mio testimone. Sì, il dover-partecipare, invece del voler-partecipare era un’ammissione di sconfitta. La sentenza l’aveva data il barista dicendo che eravamo tipi da vetro e non più da plastica e spritz annacquato. I baristi sanno sempre tutto delle persone. Ed era una sentenza, perché ogni sconfitta è una colpa. Chi non crede, pecca. E scriverne è l’unica espiazione.

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