Carmelo Finito: storia di un imbrattatore

Racconto e foto di Adalgisa Giannella
Imbrattava tele meglio di Picasso, Carmelo Finito lo scemo del paese.
Aveva undici anni ed era orfano.
Il cognome aveva già definito la sua vita. “Finito” a undici anni, giovanissimo.
Lo seguivano le suore dell’Altonome.
La pittura l’aveva imparata da madre Lucrezia che comandava il convento.
Lo faceva sedere davanti al tavolo dell’enorme cucina. Là c’era il calduccio beneritto del focolare dove ardevano pezzi d’acero e pino mentre suor Maddalena, con il sinale fino ai piedi, girava a forza la cucchiara dentro un pentolone di alluminio per non farlo attaccare, il minestrone che a lui piaceva tanto.
Era più grande di me, Carmelo, e non ho idea di che fine abbia fatto, pure se ce l’ho sempre int’ u cori
Ero piccola quando cominciai a urlare ai cretini che lo schermivano con battute orribili tipo scem, pazzia ra natur scufianato, dove il primo a ridere era proprio Carmelo.
“Non ti devi arrabbiare, mi vogliono bene. Stann pazziando!”
Non giocavano i maledetti perché diventare carnefici è più facile di avere compassione, mettersi di là con naturalezza e ingenuità, capire.
Avrei voluto la sua resistenza, il suo non fare rumore in una vita piena di spigoli e impazzimenti.
Esisteva Carmelo come pochi altri, senza pensieri brutti, ma gioia e amore come le quattro pennellate che facevano volare un colibrì, sciutuliare un albero, dare senso a una croce aggrappata a un raggio di sole.
Di nascosto lo guardavo mentre afferrava una bottiglia e ci guardava dentro, vedendoci il mondo che non avrebbe conosciuto.
“Uè Agatella, ma che succer inta sta bottiglia? Ci vedo i colori dell’universo e pare che mi salutano come nu film e fantascienz!”.
Un giorno madre Lucrezia gli organizzò una mostra di quadri.
Sarebbe intervenuto tutto il paese e persino il sindaco.
Carmelo non dormì per sette notti al punto tale che le monache si chiesero se l’idea della Superiora fosse stata buona.
Carmelo era smaniusu e tutti i giorni pregava a Maronna nella chiesina del convento, di mandargli buonasciort perché i quadri suoi erano troppi e ne doveva scegliere solo dieci.
Dieci, chill più fortunati, ma int e cervell parevano tutti capolavori.
Ci venne don Pippo a chiarirci u mistero.
“A ment nun sta mai zitta e ti dice stai attento, ma u cor già sape chell che può piacere! Quann na chies è grande ci trovi dentro sia santi che panche.”
Carmelo Finito capì chell che io ancora nun aggio capito e scelse dieci quadri che ammutolirono tutti per colori e bellezza.
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