La Divina Commedia. Le poche efficaci parole di Daniele Aristarco

Recensione di Filomena Gagliardi. In copertina: “La Divina Commedia. In poche parole” di Daniele Aristarco, Einaudi Ragazzi, Trieste 2024
Una delle sfide dei nostri tempi è quella di raccontare i classici agli studenti.
Si pensa erroneamente che autori come Dante o Petrarca siano inarrivabili.
Invece, se andiamo a vedere bene, senza voler per questo banalizzare, Dante, come ha detto Alessandro Barbero, era un giovane imbranato che non sapeva come funzionasse l’amore.
E ciò ripeto ai miei studenti quando cerco di attrarli ed attirarli verso questo “gigante”.
Un’altra strategia è quella di andare in classe con i lavori che Daniele Aristarco ha dedicato loro.
E poco importa, secondo me, che forse i suoi albi abbiano, almeno sotto un profilo tecnico e di mercato, dei destinatari più grandi dei miei amati studenti.
E ciò per due motivi. Innanzitutto perché le belle narrazioni sono in grado di raggiungere tutti; in seconda istanza perché, come ho già ribadito in altri contesti, secondo me gli albi illustrati costituiscono dei mediatori didattici utilissimi.
Già in passato ho recensito tra queste righe un albo che Daniele ha dedicato a Petrarca.
Stavolta tocca a un volumetto che lui ha dedicato al Sommo e che ho scoperto per caso nella libreria Rinascita di Ascoli Piceno che frequento molto spesso e dove invito Daniele a venire.
In generale, spero si sia capito, Aristarco è un autore che tengo sotto osservazione e che certamente continuerò a leggere e ad approfondire.
Ma redeamus ad nos. Torniamo al titolo che ho intenzione di raccontare nel seguente intervento: La divina commedia. In poche parole, Einaudi Ragazzi, 2024.
In cento pagine, organizzate in un’introduzione, diciotto capitoli, una conclusione, una biografia di Dante e una scheda bio-bibliografica di se stesso, l’autore ci racconta con stile narrativo e dialogato il viaggio del grande poeta fiorentino.
Narrativo in quanto ci racconta alcune tappe salienti dell’iter dantesco; dialogato in quanto interagisce con il suo destinatario invitandolo a confrontarsi con il poeta; in realtà l’autore racconta anche a se stesso e dialoga pure con se stesso, in quanto il se stesso è al contempo soggetto e oggetto.
Tale processo di rispecchiamento, di mirroring, si realizza fin dall’inizio: “Ho incontrato Dante per la prima volta a nove anni”. Non era Dante ad aver incontrato Beatrice all’età di nove anni? E ancora: “Quando mossi il primo passo nella selva oscura, non sapevo che la Divina Commedia è un poema scritto nel Trecento…”. Non era Dante ad essere anche lui nella selva oscura? Ed è lì che approda il nostro io narrante.
Nel mentre ci racconta notizie storiche concernenti la Commedia, come l’attribuzione dell’aggettivo divina da parte di Boccaccio, Daniele non manca di distribuire pillole legate alla poetica di Dante.
In questa rientra certamente il concetto di “incantamento”: «Qual è la forza che ti spinge a voltare la pagina, a pizzicare il bordo del foglio, in alto a destra, per poi operare una lieve pressione per decine, centinaia, a volte migliaia di pagine? In molti sostengono che si tratti di un sortilegio o meglio di un “incantamento”.
Trovo sia una parola bellissima, incantamento. Ha a che fare con il canto, con il suono della poesia, con quello stato che i lettori e le lettrici conoscono bene, quello scivolamento in una parziale consapevolezza. Il tuo corpo si rilassa e perde consistenza, il tempo si ferma mentre la mente si amplia, crea nuove connessioni, genera immagini. La scienza sostiene addirittura che, mentre leggi, si attivano le stesse aree cerebrali di quando compi un’azione nella realtà.
Forse per questo motivo, come in un piccolo vascello che attraversa i mari senza il rischio di imbatterti in alcuna tempesta, vivi le storie che leggi, più o meno avventurose, come se ne fossi il protagonista?
Trovo sia una parola bellissima incantamento. E credo che anche a Dante piacesse molto, visto che uno dei suoi sonetti più noti comincia così». E cita la poesia Guido, i’vorrei che tu Lapo ed io.
A riflessioni come queste si alternano richiami molto veloci e comunque esaustivi delle tappe di Dante: ad esempio, Paolo e Francesca, Pia dei Tolomei, Marco Lombardo, Cacciaguida, poi finalmente Beatrice e, attraverso lei, la visione di Dio che costringe al “più alto e coraggioso tentativo mai compiuto da un poeta narrare l’inenarrabile. Vedere Dio”. Sappiamo già che Dante ha vinto la sua sfida.
E sappiamo che a tale traguardo lo spingono diversi fattori: l’amore per Beatrice, che solo lui è in grado di trasformare da energia distruttiva a potenza creatrice, come si evince dalla Vita Nova; la pietas verso l’altro, a prescindere dalla condizione che lo attraversa, il desiderio di realizzare pienamente se stesso, di tenere fede alla promessa di parlare più adeguatamente di Beatrice, e di restituire a tutti la narrazione del Bene che, nonostante tutto, ha trovato nel suo viaggio a partire dall’Inferno: “Tant’è amara che poco è più morte;/ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,/dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte” .
Buona lettura.
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Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio,
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.
E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:
e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.