Angoscia per il libero arbitrio. Un racconto

Angoscia per il libero arbitrio. Un racconto

Racconto e foto di Martino Ciano

Mentre giacevo nel deserto del libero arbitrio, gettato nell’inutile ricerca della causa che innescò la prima e tutte le altre scelte volontarie, mi sono sentito perdente, spogliato del mio ruolo di motore immobile, di creatore e demiurgo, di scenografo della mia esistenza. Balzò all’occhio una effige di Sant’Agostino, colui che tolse al male ogni sostanza e consistenza per consegnare tutto nelle mani della comune ignoranza.

Non sapere completamente, anzi sapere niente, nonostante io abbia voluto conoscere del cielo e della terra, dello spirito e della materia. Ecco una sentenza che non accetto, di fronte alla quale mi sdoppio: da una parte se ne va un mio “Io” disperato e rassegnato, dall’altra un mio simulacro arrabbiato, indemoniato. Ed è quest’ultimo che più mi sembra ripieno di carne e ossa; ed è lui che non accetta contraddizione, che medita vendetta verso chi non gli dà ragione. L’altro, invece, è inconsistente, vaporoso.

Nel mezzo resto io, animato da un pezzo di coscienza che riesce ancora a raccontare questo strano triangolo. Mi sento sopraffatto dall’arrogante me stesso che non vuole rispettare la regola universale della subalternità, secondo cui l’uomo è solo un infimo ingranaggio dell’Universo; può presumere, può illudersi della sua superiorità, ma a conti fatti è solo libero di contemplare nella sua ignoranza.

Questi fatti, che io coniugo al presente e al passato, non hanno né tempo né luogo. Io credo di essere seduto sulla poltrona del mio salotto, di vedere due miei alter ego muoversi per la stanza; credo che uno si stia disperando e che un altro stia bestemmiando. In realtà, mi suggerisce un altro pezzo di me, una quarta parte nata dalla scissione tra ragione e menefreghismo, io sono ed ero ancora nello studio privato di Agostino, a Ippona. Sono stato e sono parte di Lui. Ho partecipato e partecipo sempre alla sua Angoscia, sollecitata dalla malattia che lo uccise e che continua a ucciderlo, mentre i Vandali assediavano Ippona, come ora assediano Annaba.

Se così è stato, come credo che sia, allora ho trapassato gli occhi di Dio. Ho visto il suo volto e, nonostante tutto, la mia sostanza è rimasta salva. Mai sono morto, mai mi sono reincarnato, mi sono solo conservato in una dimensione neutra, nella quale resistono tutti i concetti, tutte le idee, tutti i ricordi passati, tutte le vite, anche le più insulse, anche quelle che si sono affacciate sulla Terra per qualche nanosecondo. Quella dimensione che è stata chiamata “inconscio collettivo” io l’ho abitata; forse ancora la abito e attendo di ricadere nel tempo e nello spazio.

E forse per questo motivo, quando nacqui, sebbene nelle rispettive discendenze dei miei genitori non vi fossero avi con il nome di Agostino o Agostina, io ho ricevuto questo nome. Forse anche il Santo, nel dolore della sua malattia, si sdoppiò in due “Io” opposti: uno tartassato dal dubbio di aver detto solo sciocchezze, l’altro convinto di aver combattuto tutte le eresie, di aver scoperto la verità, anche se nessuno sapeva come oggi l’essenza della parola verità.

E ora che una cosa simile sta avvenendo davanti ai miei occhi, mi chiedo: chi dei miei due “Io” incarnerò sulla Terra? Colui che è pronto a distruggere il Mondo pur di non cedere alla sua posizione di subalternità, o colui che rassegnato contemplerà le cose riconoscendosi ignorante, ammettendo che la verità non può essere conosciuta dagli uomini?

Io non so cosa accadrà. Ora mi preoccupo solo di togliermi al più presto da questa disputa. Guardo la pistola che ho in mano, saluto i miei simulacri, rivivo per un attimo l’angoscia di Sant’Agostino… Conto fino a tre… Non morirò, ma cadrò nel tempo e nello spazio… Riconto fino a tre, perché so che continuerò a essere per sempre Agostino.

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