Mi manca il Novecento. Nicola Vacca e lo stato di salute della nostra “letteratura”
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Mi manca il Novecento” di Nicola Vacca, Galaad Edizioni, 2024. Questo articolo è già stato pubblicato per Gli amanti dei libri
Non è un’operazione nostalgica, ma una presa d’atto, con tutti i distinguo del caso. In “Mi manca il Novecento”, Nicola Vacca traccia una linea di separazione netta tra la letteratura e la poesia del secolo scorso e quella di oggi; tra le parole e la forma di un tempo, capaci di calarsi nella realtà, di diventare persino “atto politico”, di farsi anche onirica trasposizione del quotidiano, rispetto a ciò che, qui e ora, diventa facilmente “prodotto di consumo o mero esercizio di stile”.
Può darsi che non siano tutti d’accordo con la necessità di un’arte impegnata, chiodo fisso invece per Vacca, ma c’è da dire che ai nostri giorni la critica alla modernità si ferma in superficie. La domanda sorge spontanea: possiamo salvare qualcosa del XXI secolo? Certo che sì, il problema è che a prevalere sono “le questioni di mercato; di spendibilità dell’opera”, aspetti che esistevano anche prima, ma che non erano “prioritari”.
Forse perché figlia della guerra, forse perché eccitata da quella cortina di ferro, che separava l’ammaliante opulenza occidentale frutto del Fascismo del consumismo dalla dittatura di un falso comunismo, la letteratura del Novecento è stata plasmata da scrittori e intellettuali che hanno “saputo suonare l’allarme”. Certo, il disfacimento odierno ha avuto inizio in quegli anni, con la distruzione di codici, regole e soprattutto scuole di pensiero, ma c’è una differenza: oggi il sottobosco è schiacciato da un’unica ideologia che insegue le mode; tendenze che in troppi credono di scegliere o di creare, mentre ognuno di noi è ormai un utile idiota.
Certamente, nel Novecento non c’erano scrittori ritratti in mille selfie quotidiani, intenti a postare sul social telegrafiche impressioni che non divulgano, ma che scarniscono il senso delle parole. Sicuramente, il secolo scorso non aveva un’editoria al collasso come quella attuale, o scuole di scrittura che hanno avuto l’obiettivo di creare stili omologati per storie piatte che non interrogano il lettore, ma che lo avvolgono in un racconto che deve distrarre dalle fatiche quotidiane. Una delle moderne aberrazioni è considerare la lettura un’attività di svago, afferente al tempo libero.
Insomma, lo scrittore di oggi è tassello del sistema persino nella sua condizione di ribelle, visto che ha comunque un profilo social per decantarsi e osannarsi. Vero è che il Novecento non ha avuto tutta questa “tecnologia”, ma visti i lasciti di Pirandello, Moravia, Morselli, Pasolini, Céline, Sinisgalli, Tondelli, Ellis, Camus e tanti altri inseriti tra queste pagine, non penso che essi sarebbero stati lì a trastullarsi su un social per i dati di vendita, per conquistare la leadership di una bolla letteraria, o a disperarsi per la propria cacciata da qualche premio letterario.
Preferisco immaginare che se il web fosse esistito anche nel Novecento sarebbe stato un luogo di critica attiva e non uno “strumento di vano individualismo”. Ma può darsi anche che questa sia una sciocca divagazione senza capo né coda.
Di sicuro, leggendo un libro come questo mi sono venute in mente alcune domande: cosa ci ha cambiato? Di cosa avremmo bisogno per spostare il tiro dal narcisismo alla condivisione delle idee? Perché non ci rendiamo conto del fatto che abbiamo più possibilità di comunicare, ma siamo sempre più privi di idee e di spirito critico? Perché ci vantiamo dei nostri flebili “sì” al sistema?
Ecco, sia ben chiaro, anche il Novecento aveva le sue bolle, le sue caste, le sue ricette salvifiche per gli affamati di arrivismo, le sue pecore, i suoi leccaculo, i suoi accoliti. Eppure, perché prima Pasolini e Flaiano potevano permettersi “elzeviri” irregolari e profondi, mentre oggi il compitino dell’antifascista Scurati viene addirittura censurato? Nonostante tutto, azioni del genere hanno innescato solo una critica moderata nei confronti del potere, portando la discussione su tematiche anacronistiche.
Insomma, Nicola Vacca scrive un’altra raccolta di saggi divulgativi che serve per ragionare sul da farsi, che chiede al lettore di prendere coscienza. Ma è bene ribadirlo “mi manca” non è una dichiarazione nostalgica, le lancette del tempo vanno sempre in un’unica direzione e nessuno vuole riportarle indietro; anche perché dire che “prima si stava meglio” è sempre una gran cretinata. Era un’epoca diversa, e basta!
Ma se è vero che indietro né si può né si vuole tornare, è altrettanto vero che dobbiamo guardare a quegli anni per recuperare quel pensiero che ormai sta diventando sempre più “binario”. La tecnologia apre e chiude spiragli; come tutte le cose “fatte dall’uomo”, anch’essa prolifera tra le contraddizioni; ecco, ripartiamo dalle contraddizioni che gli scrittori del secolo scorso hanno saputo porre in evidenza benissimo.