Trofeo. Emanuela Cocco e l’esperienza di un oggetto

Trofeo. Emanuela Cocco e l’esperienza di un oggetto

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Trofeo” di Emanuela Cocco, Zona42, 2024

“Trofeo” non è solo un romanzo breve, ma prima di tutto è la scelta di descrivere i fatti scegliendo un punto di vista anomalo: gli occhi di un oggetto-narrante. A raccontarci quanto accade è il vestito che la vittima indossava nel momento in cui è stata uccisa.

Questo indumento, che è fuori dal tempo e dallo spazio per come li intendiamo noi, diventa per l’appunto un “trofeo”, uno dei tanti “scalpi” che un serial killer conserva. L’oggetto si anima, crea una relazione e un confronto con concetti umani come la vita e la morte. L’incontro-scontro tra forme diverse, tra categorie del pensiero aliene, sono risolte dall’osservazione, grazie a cui “il vestito” impara a parlare e a narrare.

Ma c’è anche un altro aspetto: lui sa che sarà l’oggetto sul quale gli inquirenti cercheranno le prove. Sono proprio gli uomini che danno a ogni oggetto un’anima e una forza narrativa. Sebbene immobile, sebbene abbandonato, nonostante sia in balia di mani e intenzioni altrui, “egli” è parte della scena del crimine, è incluso nel mondo umano; è un testimone che ha incarnato la paura, il dolore e il terrore della vittima. Tra lei e “lui”, tra soggetto e oggetto sembra essere avvenuta una osmosi.

“Trofeo” è quindi un esperimento ben riuscito che ci porta per mano in una fenomenologia nuova, in un gioco della mente che sa costruire e determinare il mondo a seconda delle proprie esigenze. Potremmo dire ancora tanto ma toglieremmo il gusto della lettura, e poi, sempre su Borderliber, c’è già una approfondita recensione di Alessandro Barettini, che potete consultare.

Mi preme però sottolineare che il libro di Emanuela Cocco ha una sua rilevanza per la capacità di saper unire un linguaggio adatto al suo personaggio-oggetto, facendolo apparire non troppo umano e non solo composto di stoffa, tenendo ben separati i due confini e rendendo il tutto un viaggio metafisico che parte da un’intuizione e si sviluppa coerentemente, anche laddove non ce ne sarebbe stato bisogno.

Tali aspetti rendono l’opera di Cocco un gioco lirico in cui lo stile mette in evidenza una libertà artistica non indifferente. Come spesso accade, tutto questo si può generare solo in un contesto di consapevole e felice marginalità.

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