Il tempio dell’anima. Il ritorno di Antonio Veneziani

Il tempio dell’anima. Il ritorno di Antonio Veneziani

Recensione di Marco Masciovecchio. In copertina: una foto di Antonio Veneziani, autore di “Il tempio dell’anima”, Il simbolo edizioni, 2025

Dopo due anni di apparente silenzio, nei primi giorni di febbraio del 2025 è uscito, finalmente, il nuovo libro di Antonio Veneziani. Silenzio apparente, poiché, in realtà Veneziani continua il suo lavoro in silenzio; infatti, dopo la ripubblicazione di “Brown Sugar” da parte di Hacca Edizioni nel 2019, sono seguiti rispettivamente nel 2022 “Canzonette Stradaiole” sempre per Hacca Edizioni, “Santi subito” per la Five Edizioni e, infine, nel 2023 “Talismani” per Via Oznam poesia di Giorgio Giotti.

Ma veniamo a oggi, il nuovo libro ha un titolo a dir poco intrigante “Il Tempio dell’anima” ed è stato pubblicato da Il Simbolo Edizioni, casa editrice fondata a Roma nel 2024 e che vanta nomi illustri nel suo catalogo come Elio Pecora, Giorgio Ghiotti, Maurizio Gregorini. Ed è proprio Gregorini (poeta, scrittore, giornalista e da pochissimo editore) a firmare la prefazione dell’opera.

Antonio Veneziani, piacentino di nascita e romano d’adozione, anche se oramai da molti anni ha abbandonato la Capitale per andare a vivere in provincia, insieme a Renzo Paris, Gino Scartaghiande e Agostino Raff, è tra gli autori della cosiddetta “Scuola Romana” che va da Pier Paolo Pasolini a Dario Bellezza fino ad Amelia Rosselli. Probabilmente Gabriele Galloni sarebbe stato l’erede naturale di tale scuola.

Oltre che poeta, Veneziani è narratore, saggista, e instancabile promotore culturale. Persona schietta e sincera, sempre pronto ad ascoltare a intraprendere nuove avventure, ha ricevuto molti riconoscimenti. I più significativi li ha ottenuti con il suo libro di poesia “Torbida innocenza”, con il quale ha vinto il “Premio Sandro Penna” nel 1988 e il “Premio Letterario Vittoriano Esposito alla Carriera” nel 2014, ricevuto a Celano, in provincia dell’Aquila.

“Il Tempio dell’anima” raccoglie versi scritti nell’arco di un ventennio, uniti e “ricuciti” tra loro da un filo conduttore unico: la ricerca costate di un poeta verso l’esistenza e l’assoluto. Il libro è un viaggiare nella spiritualità della “parola”: un alito, un soffio che dolcemente arriva nella profondità dell’anima.

Oh! Sapessi scrivere sulla polvere
poesie di sangue e sudore
allora sì! potrei inchiodare
l’anima all’acqua che scorre
lenta e sottovoce.
Le lucertole risvegliandosi
farebbero perdere l’orientamento
alla morte e potrei inseguire
favole antiche, non miraggi.


Il tempio dell'anima di Antonio Veneziani

Come detto, nella sua appassionata prefazione Gregorini, oltre ad introdurci, ci fornisce una chiave di lettura diversa rispetto all’abituale scenario in cui Veneziani è da sempre stato “letto”. Infatti, Gregorini mette in luce la potentissima carica spirituale e visionaria di Veneziani, e leggendo quest’opera si capisce una volta di più che ci troviamo al cospetto di un Maestro.

“Il Tempio dell’anima” si apre con la sezione “Gerusalemme” e si conclude con “Shalom”, testo introvabile di una tale profondità che inchioda il lettore nel ricercare il senso di sé in relazione con gli altri.

La Torà
elenca gli attributi
di Dio, ma io, figlio
d’Abramo, non rintraccio
più la parola e abito
sgranate infanzie
disfatte in umide chiome.


Antonio Veneziani, con quest’opera, ci sollecita a scrutare dentro di noi e alle tensioni del vivere, e proprio così facendo apre un varco, oltrepassa l’invisibile soglia oltre la quale possiamo dare una nuova lettura e spunti di riflessione nella comprensione del passato, per tramutarlo, finalmente “pacificati”, in una nuova fase: quella dell’accettazione in cui la rabbia, la paura e la tristezza dell’esistenza sono offerti al “tempio dell’anima” come una sorta di tribunale di “grazia” che sappia scardinare quell’ordine costituito dalla passione della carne.

Le piccole cose terrene diventano immagini reali e al contempo parte di un mondo onirico custodito in un altrove in cui anche gli spiriti dei morti danno la possibilità al poeta di riscoprire se stesso e di abbandonarsi ad una sorta di nostalgia.

Fa notte in me.
Sul ciglio della strada.
Giocano,
con i riflessi di rame
sull’impossibile ritorno alla vita,
gli innocenti.
Ascolto mio padre
senza perdere una sola intonazione.
Se non avesse resistito
si appenerebbero all’unisono
i nostri occhi?


Tentando di leggere
fra le righe dell’abbandono
mi sono fermato
ad origliare il battito,
non ignaro del disastro,
della mia umida stanza.
A quest’ora di notte
è di rigore avere un mondo
per abitarci.


Antonio Veneziani accompagna se stesso e noi attraverso un percorso (un percorso a cui tutti noi consciamente o inconsciamente siamo “chiamati”) di riscoperta dell’essenzialità.

Non c’è nessuna operazione egoica o di autocelebrazione. I veri poeti, e d’altronde Antonio Veneziani lo è a tutti gli effetti, non hanno l’esasperante necessità dell’apparire, dell’urlare, di mettersi in mostra come oggetti o opere d’arte. I veri poeti sussurrano i loro versi, lasciando che entrino nell’anima e nel cuore di chi saprà e avrà voglia di “ascoltarli” e, come nell’opera più nota di Rostand, il Cyrano de Bergerac “al fin della licenza io tocco!”.

Quel tocco, quel pizzicare in profondità, quel “tormentare” il lettore attento, condurrà nel luogo dove ognuno di noi potrà finalmente riscoprire e approdare nel “Tempio dell’anima”.

Dormono
In angoli reconditi
gli scarti del mio vivere.
Appare l’alba
Verde smeraldo cupo.
Oramai qui,
senza le tue calde mani,
è tutto dimenticanza.

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