Politeama. Gianni Amelio e la storia di un ragazzo calabrese

Recensione di Letizia Falzone. In copertina: “Politeama” di Gianni Amelio, Mondadori
Luigino cresce in un piccolo, povero paese della Calabria, figlio di padre ignoto e di una giovanissima ragazza Ida (quindici anni quando, già madre di una bambina, l’aveva partorito), “un’anima semplice”, di cui non sapeva niente “perché lei non parlava né con lui né con nessuno. Si faceva capire a gesti ma non era muta, aveva la testa chiusa, con pochi pensieri dentro che le tenevano compagnia.”
A scuola impara poco: “le parole del sillabario non gli entravano in testa”; ha un solo amico, Aldo che “lo stringeva da dietro e lo accarezzava senza fargli male”; si innamora di Meri, una fiorentina ventenne in visita a dei parenti.
Luigino vive un’infanzia travagliata, con una madre rinchiusa in un manicomio e un padre sconosciuto. Il suo sogno è quello di cantare alla radio e in televisione. La sua voce, simile a quella delle dive di Sanremo, lo porta ad esibirsi in vari contesti, tra cui circhi e spettacoli di avanspettacolo.
Nonostante il successo iniziale, Luigino subisce anche umiliazioni e delusioni. La sua strada verso il mondo dello spettacolo viene bruscamente interrotta, spingendolo a cercare un nuovo inizio a Roma. Qui, incontra Elide, una giovane cameriera, con cui vive un breve momento di felicità, seguito però dall’abbandono.
La solitudine è un tema ricorrente, sia nell’infanzia di Luigino che nella sua vita adulta. Ma centrali sono anche i temi della ricerca di identità, del sogno e della disillusione.
Politeama è il nome di tanti cinema di provincia con le poltrone scomode e senza dolby surround, quelli che c’erano negli anni Cinquanta proprio come quel cinema che Gianni Amelio frequentava da ragazzo a Catanzaro.
Politeama è anche un romanzo di formazione scritto in terza persona, ma dalla parte del protagonista. I venticinque capitoli, preceduti quasi tutti da alcuni versi di canzoni d’amore in voga nel dopoguerra, raccontano, dal punto di vista di Luigino, bambino, ragazzo, giovane e adulto, la vita che gli capita.
Il romanzo è scritto con uno stile semplice e diretto, ma allo stesso tempo evocativo. Amelio riesce a creare un’atmosfera intensa e coinvolgente, grazie anche alla sua capacità di descrivere i personaggi e i luoghi con grande realismo. Ho apprezzato la sensibilità con cui Amelio affronta le tematiche. Un libro da leggere d’un fiato. Un romanzo che rivela una grande fiducia nella forza della diversità, nella lucida follia che aiuta ognuno a sopravvivere anche quando sembra impossibile
Dalla quasi favola dell’infanzia dai toni dickensiani e con atmosfere che rimandano a certi straniamenti chapliniani al quasi dramma teatrale del dialogo all’Apollo si precisa il senso, più consapevole nelle tre lettere, due alla madre e una alla figlia, dell’accettazione, umile e tenace, della propria identità diversa. E dell’accettazione della vita, sempre: nelle sue esperienze più lievi e più crude, e per quanto imperfetta e incompiuta.
Questo libro parla della dignità e del riscatto da tutto ciò che la calpesta e parte dalla constatazione della sofferenza che si vince. Tutti abbiamo problemi e dobbiamo affrontarli con il coraggio che abbiamo dentro di noi. Alla fine trionfa l’orgoglio e l’idea che se hai davanti una montagna la devi scalare.