Sotto la pelle. David Machado e l’excursus di un trauma

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Sotto la pelle” di David Machado, Voland, 2025
Un’aggressione dalla persona che diceva di amarla e la vita di Júlia cambia in maniera irreversibile, modificando la sua percezione del mondo e il modo di confrontarsi con gli altri. “Sotto la pelle” è un excursus sulla potenza del “trauma”, su come la violazione della propria intimità possa distruggere la capacità di stare nel mondo.
Ambientato in Portogallo, in tre momenti dislocati tra il 1994 e il 2017, ossia da quando la protagonista è una adolescente fino a quando è ormai adulta e madre, il romanzo di David Machado è costellato da personaggi influenzati dal proprio dolore, da una sofferenza che è lì, nascosta, e che nessuno riesce a spazzare via.
Le conseguenze di un trauma possono essere molteplici, in Júlia hanno generato un forte “senso di protezione” verso Catarina e, più tardi, nei riguardi di suo figlio Manuel. Lo sviluppo della trama, ricca di colpi di scena, metterà in mostra quei meccanismi di difesa che la protagonista ha ormai fatto confluire nella stessa area in cui si addensano gli istinti. Ma ciò ha anche creato un altro pericoloso aspetto: una mania di controllo distruttiva.
La capacità di Machado è stata quella di costruire un filo conduttore tra storie diverse senza mettere in campo delle forzature. I narratori delle varie vicende, soprattutto nel secondo episodio in cui prevale la voce dell’enigmatico Salomão, sentono la necessità di raccontare a loro stessi ciò che li turba, creando però figure ideali sospese tra finzione e realtà.
In qualche modo ogni personaggio prova ad assolversi, ma non lo fa intenzionalmente, bensì seguendo quel bisogno di sopravvivenza che riduce il mondo a un habitat domestico, facilmente gestibile e modificabile.
Infatti, Júlia si sente libera solo nella sua stanza da letto, luogo in cui passa le sue giornate da adolescente spaventata e disarmata; Salomão è in cella mentre scrive le vicende che lo hanno portato all’incontro con Catarina, ormai diventata una ragazza bella e in fuga da sé stessa; Manuel è invece circoscritto all’area rurale in cui la madre lo ha costretto a vivere, isolandolo dalla società, dalla tecnologia e persino dai vicini di casa. In tutti e tre però c’è il momento della ribellione: anche questo elemento è “sotto la pelle” di ciascuno e innescherà, in vari modi, un percorso di redenzione.
Machado instaura un costante confronto tra i personaggi e il loro “senso di colpa”. In alcuni momenti, proprio la voce dei rimorsi assume le sembianze di uno spirito guida. Insomma, siamo davanti a un romanzo improntato sulla dimostrazione delle cause e degli effetti delle azioni dei personaggi, in cui le parole dipingono delle istantanee di vita. Tutto ciò ci fa rivivere quel conflitto tra “colpa e assoluzione” che sempre affascina, perché pone al centro l’essere umano e la sua condizione.
In risalto viene posto “il rimosso”, che ormai si mostra con naturalezza, oserei dire felicemente come compagno delle nostre patologie. Non so quanto tutto questo sia stato voluto o quanto sia stato ricercato. Di sicuro, la naturalezza della prosa elimina tutti quegli elementi edonistici che riempiono fin troppo una certa “letteratura del disagio”.