Simulacri di un mondo etereo
Prosa di Giuseppe Bella. In foto: “Pantalica” quadro di Camillo Pennisi
Per la pittura di Camillo Pennisi…
Sul nostro mondo sorgono molteplici soli; si alternano in un cielo uniforme, mai intorbidato da nuvole o da foschie – e il loro calendario è indecifrabile. Ci siamo sempre astenuti dall’investigare le leggi che governano quest’alternanza. Non coltiviamo le scienze esatte. Le quantità numeriche ci sono ostili. Consideriamo un esercizio inutile studiare il firmamento. Sono attività, queste, che volentieri concediamo alle creature del mondo basso, laddove la materia s’insinua in ogni interstizio.
Non misuriamo nemmeno il tempo che intercorre tra un sole e l’altro. Si può trattare di un solo giorno o addirittura di una manciata di secondi, come pure è possibile che tra l’apparire – per esempio – di un sole verde e quello di un sole rosso, si distenda un tempo enorme: ciò che gli umani definiscono un’era.
Il colore della luce è quanto distingue tra loro i nostri soli; ogni volta, un colore diverso. Tuttavia, forse, impropriamente, chiamiamo soli quegli elementari ma grandiosi coaguli di vapori incandescenti. L‘astro che ne deriva non ha nemmeno un’apparenza sferica: è tutto un fremere di onde e raggi, che ora si dilatano ora si condensano, emanando turbini di luce.
Siamo appena una vibrazione che percorre l’aria. Non abbiamo alcuna consistenza. Vaghiamo da un punto all’altro della nostra terra, che così chiamiamo per mera convenzione. Il nostro regno in verità è del tutto etereo. Allorché cessiamo dalle nostre estasi dinamiche, ci dedichiamo a piaceri immobili; scrutiamo, o ancora meglio, contempliamo gli scenari che si stagliano, scarni ma vibranti, oltre il velo che separa il nostro mondo da tutti gli altri mondi.
Nutriamo una tenera predilezione per quello umano. Sarà perché nel cuore di quelle patetiche creature percepiamo l’identico soffio che ci trascina senza sosta nell’etere infinito – ma, per noi, loro rappresentano un incessante motivo di simpatia. Compatiamo la loro esistenza, perché gravata da fatiche sfibranti; e sofisticati dolori si insinuano nella loro carne. Ma l’invidia gioca pure la sua parte.
Si badi: non invidia per ciò che gli uomini sono, ma per quello di cui dispongono – non oggetti, non arnesi, non denaro: ma la natura. Ecco, qui da noi non vi è altro che energia, soltanto e sempre energia; non esistono le forme. L’amore che nutrono gli umani è pura forma. E la natura è il regno delle forme.
L’occhio astratto con cui guardiamo oltre il velo ha questo di speciale: che coglie, di ogni forma, la sua struttura elementare. Penetra, per così dire, al di là del divenire, superando ogni ingannevole esuberanza; esclude i dettagli, riduce all’essenza, coglie le vibrazioni che pure sussistono in ciò che sembrerebbe immutabile e saldo. E queste vibrazioni, visivamente, altro non sono che linee dal tracciato netto: il reticolo di arterie e vene, lungo le quali scorre l’energia del cosmo.
Ogni sole ci propizia visioni, di volta in volta, differenti. Quando, per esempio, è il tempo del sole rosso, quando la sua luce colma l’aria di sanguigno, riusciamo a scorgere gli alberi, e l’erba dei prati, e le ondulazioni delle colline, e finanche il profilo di precari volti evanescenti – tutti partecipi di una danza il cui ritmo è conformato a quello dell’universo.
Il sole verde evoca invece i diletti dell’inerzia: avere un albero, sotto la cui fronda sia piacevole la sosta, ristare in quello stagno di quiete mentre tutt’intorno la natura arde – questa è una delle nostalgie che più profondamente ci colpiscono, noi che del resto proviamo emozioni effimere. C’è anche un sole grigio: ma non si creda che esso susciti visioni deprimenti. Al contrario, ci rende disponibile una vastità accogliente, venata di strie sanguigne; intravediamo profili poderosi: fianchi e vette di vulcani; oppure fiammanti sfere di melograni.
E così, in questa nostra vita che mai ha avuto inizio né mai avrà una fine, quei soli che una potenza ignota ci ha regalato, sono un mezzo per conoscere l’eterno nelle sue forme più delicate.