Senza fine. Un esperimento vegetativo
Articolo di Gennaro Lento
Facciamo un esperimento semplice semplice, bastano venti minuti del vostro tempo, un letto e una perfetta solitudine.
Siete pronti? Va bene.
Stendetevi supini sul letto, assicurandovi di essere da soli nella stanza. Rilassatevi. Allungate le braccia lungo il corpo. Pensate a quello che volete ma soprattutto, dopo aver raggiunto una posizione comoda, non muovetevi. Restare immobili è essenziale per la buona riuscita dell’esperimento.
Bloccate anche la testa, nessun movimento laterale o rotatorio. Solo gli occhi possono vagare liberamente da un punto all’altro della stanza. Fate passare un minuto, poi due, poi tre. Probabilmente vi verrà da grattare da qualche parte ma voi siate rigorosi come scienziati e ignorate ogni possibile distrazione.
Bravi.
Dopo i primi cinque minuti inizierete a rilassarvi davvero e a trascurare progressivamente i segnali del vostro corpo. Magari qualcuno di voi inizierà ad assopirsi ma dovete resistere, altrimenti i risultati non saranno di nessuna utilità. Respirate e rimanete concentrati.
Adesso la parte più importante dell’esperimento: immaginate che restare immobili in un letto e senz’altra possibilità di movimento, a parte la rotazione degli occhi, sia la vostra condizione normale, per ogni secondo, minuto e ora del giorno e per tutti i giorni della vita.
Senza fine.
Riuscite a visualizzare la disperazione?
Riuscite a sentire l’angoscia?
Bene, avete raggiunto, con molta approssimazione, lo stato di vita quotidiana di Fabio, affetto da tetraparesi da rottura dell’arteria basilare. Solo che mentre voi avete simulato la sua condizione per circa venti minuti, lui l’ha vissuta per diciotto lunghissimi anni, tra dolori orribili e giornate interminabili, sempre lucido e con l’unica possibilità di interazione legata ad un puntatore oculare che gli permetteva a fatica di “digitare” lettere su una tastiera.
Fabio è morto, finalmente. Dopo una lunga battaglia legale è riuscito a interrompere volontariamente le cure che lo tenevano in vita per mettere fine ad un’esistenza disumana, privata da ognuno dei motivi che la rendono degna di essere vissuta. Ovunque tu sia, riposa in pace Fabio.
L’Italia è un paese fantastico, ricco di storia e di cultura e di bellezze paesaggistiche notevoli. Italiane sono numerose personalità della cultura, scienza, spettacolo e di qualsiasi altro campo dove viene premiato il talento e l’applicazione.
L’Italia, però, è anche un paese ipocrita, perché nonostante nella Costituzione sia sancito che siamo uno stato laico, le antiche cicatrici cattoliche faticano a scomparire e continuano a influenzare la vita di tutti in maniera pervasiva e arbitraria.
La legge sul fine vita è bloccata in Parlamento da tempo immemore, seppellita sotto una serie di veti incrociati che ne rendono impossibile la discussione. Il mondo politico di ispirazione cattolica continua a non valutare questo argomento come degno di considerazione, dimostrando un certo disprezzo per le argomentazioni “umane” di tanti italiani costretti, loro malgrado, a sopravvivere ad un corpo inerte senza possibilità di fuga.
Ebbene, io non sono credente, ma questo non è importante perché nutro profondo rispetto per chi ha fede in un Dio onnipotente che governa ogni cosa e proprio a coloro che fondano la propria vita sull’amore per il prossimo vorrei rivolgere una domanda.
Come è possibile, vi chiedo, che Dio possa costringere un essere umano a vivere come un vegetale, privato della possibilità di interagire con gli altri e costretto a passare il proprio tempo soffocato in un corpo-prigione che è come una colata di cemento che ti lascia fuori solo gli occhi? Come è possibile che Dio possa anche solo concepire l’eventualità di far soffrire una persona fino a costringerla a desiderare la propria morte come unico rimedio? Con tutto il rispetto, come si fa a pensare che sia giusto così?
Non mi rassegno all’idea che un Dio misericordioso e giusto possa tollerare che Fabio e altri come lui restino in un letto ad attendere vanamente la morte naturale, impastoiati in un limbo lunghissimo fatto di dolore e disperazione.
Mi sembra una crudeltà inutile, una barbarie. Sarebbe più logico pensare che Dio non c’entri nulla e che tutte le remore di matrice cattolica facciano parte di una sovrastruttura secolare che si è ormai allontanata definitivamente dai concetti originari di amore e pietà. Oppure non ho capito niente e Dio vuole proprio questo e amen.
Mi vengono in mente le parole del vecchio zio Stojil ne La Fata Carabina di Pennac: “Se Dio esiste, sarà meglio che abbia una scusa valida”.
Una scusa bella grossa.