La meccanica dei corpi. Paolo Zardi e l’ammaliante attrazione per la caducità
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “La meccanica dei corpi” di Paolo Zardi, Neo Edizioni, 2023
Il male è l’uomo o egli è solo il mezzo attraverso il quale esso agisce nel mondo? Soprattutto, cos’è il male, visto che va rintracciato nelle contraddizioni che costellano le azioni e i pensieri degli uomini? Sono le domande che mi ha lasciato Paolo Zardi, autore dei cinque racconti del suo “La meccanica dei corpi”.
Se oggetti e soggetti rispondono al principio secondo cui “ogni azione comporta una reazione uguale e contraria”, allora eccoci spiegato fin dalle prime righe il filo conduttore che lega queste pagine, in cui lo scrittore ha saputo porre al centro, in particolar modo, le imperfette sensazioni dell’anima con cui ognuno di noi fa i conti.
Con uno stile che dipinge scenari e personaggi ambivalenti, avvinghiati a una costante metamorfosi, Zardi delinea uomini comuni, vite normali, quasi banali, che quotidianamente tentano di inserirsi in un sistema tentacolare che impone le proprie regole a una massa informe, impersonale, che reagisce a impulsi esterni, a forze indomabili, a modelli comportamentali. I racconti sono la presa d’atto di un “Io diviso”, che si ricompatta per motivi di mera sopravvivenza e che sceglie sulla base di suggerimenti inconsci collettivi.
La paura di finire, più che della morte, è un altro dei temi cari a Zardi; proprio questa forza oscura e silenziosa alimenta l’angoscia verso il futuro che rende tutti “freddi calcolatori”. Ma c’è anche la rassegnazione, un potere che sa di “resa dei conti”, che prende il controllo di questi involucri di carne e ossa nel momento in cui “il resoconto della vita, buono o cattivo che sia, appare solo come un accumulo di opere che non rende giustizia alle aspirazioni, agli ideali, al progetto di vita che ognuno si era costruito”.
Ecco l’anziano protagonista di “Fantasmi”, che solo, malinconico e malato, si lascia trascinare dal passato in un vortice di sensazioni che prima era riuscito a tenere a bada. La vita e la morte si incontrano in un dialogo intimo in cui l’unico appiglio di salvezza è l’idea di una “continua ricerca”, anche quella di una persona cara scomparsa.
C’è poi il cambiamento repentino di un uomo “miracolato”, il quale costella le pagine de “Il risveglio” e che, nella sua seconda vita, deciderà senza indugio cosa tenere per sé e cosa scartare. Ecco poi la faccia dell’arrivismo contemporaneo, incarnato nella protagonista de “L’era della dignità borghese”, storia di una giovane donna divisa tra carrierismo e sensi di colpa, tra frenesia cittadina e armonia dei piccoli centri, tra spettacolarità e volontà di potenza. Questo, secondo me, è il racconto più significativo, perché smaschera alcuni “bug” dell’informazione nostrana. E proprio questo primo “capitolo” del libro mi ha suggerito le linee guida attraverso cui le narrazioni di Zardi si muovono.
Senza addentrarmi troppo nei singoli racconti, anche perché questo vuole essere un sincero invito alla lettura, Zardi pone al centro “l’evento” nel suo significato più puro, ossia come qualcosa che gode di uno status di eccezionalità, di quasi unicità. Ma ancora una volta, l’evento diventa tale nel momento in cui l’uomo, nel suo bisogno di “personale rappresentazione”, innesca il meccanismo. I personaggi di questi racconti, infatti, percepiscono l’irruzione di un evento nella loro vita; quasi premoniscono un fattore scatenante, forse perché inconsciamente ricercato, sperato, sognato, idealizzato.
Pertanto, se seguiamo questo ragionamento, l’evento è tale perché chi lo vive lo giudica così, estrapolandolo dal resto, altrimenti sarebbe qualcosa che avviene; uno dei tanti episodi che naturalmente accade. Di fronte a ciò si apre tutto quel discorso intorno alla comprensione “della scelta giusta e della scelta sbagliata; se un episodio sia un’opportunità o una disgrazia”.
Questa meccanicità, come se anche il fato rispondesse a leggi superiori, è la manifestazione della dialettica dei corpi e delle anime su cui Zardi basa la sua ricerca. Tant’è che lo scrittore padovano non attua una separazione, non scinde “essere da non essere; spirito da carne”; anzi, pone davanti ai lettori proprio questa erronea convinzione, comune agli uomini di ogni epoca, secondo cui di “una parte di noi, in alcuni casi, si può anche fare a meno”. Invece, è proprio da ciò che sorgono tutti gli equivoci. Corpo e anima stanno lì, insieme agiscono e subiscono.