Gli occhi gialli dei coccodrilli. Katherine Pancol e la famiglia imperfetta
Recensione di Letizia Falzone
Un libro, una famiglia. Entri leggendo e diventi parte attiva, apparecchi, sparecchi, vai dal parrucchiere, paghi le bollette, ti senti subito a casa, confortato da sensazioni comuni, piacevoli, note.
Madri, figlie e nipoti: tre generazioni a confronto, con le loro diversità e le loro uguaglianze scandagliate dallo sguardo inquisitore di un’altra donna, la scrittrice, capace di disegnare personaggi e intrecci credibili portando sulla carta la vita quotidiana con i suoi amori, i suoi tradimenti, le sue dolcezze e le sue acidità. Ci sono cenerentole che diventano principesse, arpie insaziabili costrette al digiuno, regine scalzate dal trono. In breve la vita, quella dei giorni nostri, dove la bacchetta magica è a 4G con mela morsicata, le scarpette di cristallo sono firmate Armani e le pozioni d’amore vengono trangugiate a sorsi di champagne. Una visione faziosa, un universo di donne raccontato da una donna, con uomini sullo sfondo, potenti o meno, ma sempre secondi.
La scrittrice mette in scena con maestria tre generazioni di donne a confronto, esplorando gli anfratti più nascosti dell’animo umano.
Gli occhi gialli dei coccodrilli, il primo romanzo di una trilogia, ci immette nell’universo della protagonista Josephine Cortés, l’anti-eroina per eccellenza. Bruttina, timida, lasciata dal marito, si ritrova a dover far quadrare i conti e a crescere da sola le due figlie, combattendo con le proprie insicurezze, con un madre che non l’ha mai amata, sempre all’ombra della sorella Iris, bellissima, ricca, affascinante. Una donna che non ha paura dei sentimenti, con un animo d’altri tempi, che abbraccia la sua sofferenza e ne trae la sua vera forza.
Josephine riuscirà a fuggire alla sindrome del “brutto anatroccolo” e, malgrado tutte le avversità, a trovare dentro di sé la forza per realizzarsi e prendersi la propria rivincita. Intorno alla storyline principale si sviluppa un universo di personaggi secondari, ma non per questo meno interessanti, l’amica Shirley e il figlio Gary, il patrigno Marcel e l’amante Josiane, tante microstorie che si sviluppano in modo corale, intrecciando i destini dei personaggi e dando vita a un romanzo ben scritto e scorrevole.
Ogni personaggio segue la propria via o, in alcuni casi, se la crea con le proprie forze. Per essere precisi, sono presenti molte storylines, tutte intrecciate tra loro a formare un più ampio affresco. In questo romanzo familiare collimano infatti personaggi dai caratteri molto diversi e, a volte, diametralmente opposti; in realtà, più che personaggi sarebbe corretto parlare di persone. La prosa della Pancol delinea dei comportamenti, delle situazioni e delle passioni molto vicine alla vita reale, e per nulla artificiose.
Mi ha sorpreso soprattutto il coraggio dell’autrice di presentare personaggi molto negativi, che per tutto il romanzo tengono dei comportamenti odiosi, spesso nei confronti di quella che si può considerare la protagonista, Jósephine: sarebbe stato più facile creare personaggi gentili e simpatici ai lettori. Alla fine però si arriva alla resa dei conti e chi prima aveva sbagliato paga le proprie cattiverie.
In queste pagine c’è la storia di noi tutti, riflessa in quella dei protagonisti. Ci sono i lati luminosi e bui di tutti noi piccoli esseri umani, con le nostre fragilità e le nostre paure, ma anche con i sogni e la forza che a volte compare per farci andare avanti, avanti nonostante tutto e tutti. C’è la spregiudicata forza della gioventù e l’arroganza del potere e della ricchezza, ma anche la poesia del sentimento, l’ingenuità dell’adolescenza e la delicatezza di amori privi di interesse e tornaconto. Ogni personaggio (e sono veramente tanti!) incarna in modo particolare un aspetto della natura umana.
La Pancol non ti racconta una storia: te la fa vivere in diretta. Una trama ricolma di intrecci che non ti affanni a seguire. Una scrittura garbata, con il filo dell’ironia a stringerla stretta. Una linearità che ti stupisce per il modo in cui si interseca con la densità del contenuto. Una capacità di caratterizzazione dei personaggi in cui raramente mi sono imbattuta.
Per quanto riguarda i coccodrilli annunciati nel titolo e nella copertina, l’intero romanzo è caratterizzato da continui riferimenti ai rettili in generale e, appunto, ai coccodrilli in particolare; ci sono anche metafore o giochi di parole su questi coriacei predatori e sui loro intensi occhi che illuminano la notte. Solo più in là si incontrano dei coccodrilli in carne ed ossa, e denti pronti a sbranare chi incautamente gli si avvicina.
Nello stile dell’autrice, è davvero notevole il variare di tanti POV, ognuno dei quali fornisce al lettore nuove verità e retroscena, magari ignoti agli altri personaggi. La Pancol spesso intreccia i pensieri dei suoi personaggi alla narrazione in terza persona, anziché separarli nettamente. Questo genera sovente una sorta di vortice formato dai pensieri, che ci permette di scrutare meglio nella mente dei personaggi. Molto intrigante anche il modo in cui l’autrice racconta il romanzo scritto da Jo: la passione con cui viene illustrata la storia fa venire davvero voglia di poter leggere “Un’umile regina”.
Una storia tutta al femminile, quindi, ma non solo. Il libro viaggia sul filo dell’assurdo per tutto il tempo, diverte e conquista, fa ridere e sorridere delle disgrazie e delle piccole gioie dei protagonisti. Il tutto immerso in una Parigi radiosa e sempre presente sullo sfondo, che fa desiderare di trasferirsi in un appartamento con finestra su un boulevard e andare a comprare una baguette ogni mattina.