Senectus. Un discorso sulla vecchiaia di Alfonso Sciacca

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Senectus” di Alfonso Sciacca, Qed Edizioni, 2025
Cos’è la vecchiaia? Un’età terribile di privazioni, un piacevole momento di passaggio, la porta verso il nulla o verso la posterità? Alfonso Sciacca ne parla nel suo “Senectus”, saggio filosofico che prende a piene mani dalla cultura greca e latina. Lo scrittore siciliano si immerge nel pensiero di Cicerone e Orazio, guarda al mondo Ellenico, si volta verso le Sacre Scritture, confronta tutto con i nostri tempi e tira le somme senza retorica, senza crollare nel già detto.
La filosofia è una materia difficile da gestire, si rischia di diventare citazionisti, di scivolare su parole che ormai hanno perso la loro efficacia. Il tranello nel quale si incappa è quello di apparire come ottimi eruditi, senza tener conto però che ogni cosa si evolve, nel bene e nel male, e che ogni linguaggio va rinnovato.
Sciacca non cade in questi errori: maneggia il pensiero dei grandi, lo lega al suo sentire e con esso costruisce un libro che non è solo un saggio, ma una disquisizione sulla vecchia utile ai contemporanei. Lo scrittore siciliano non ha solo imparato una lezione, prima di tutto l’ha compresa, dopodiché se ne è fatto portavoce, sentendo la necessità di trasmetterla a noi.
Ecco, è questo il compito del filosofo: essere in continuità con le età dello spirito, alimentare il pensiero attivo e la riflessione. Il mondo cambia, va veloce, fugge, ma i problemi irrisolti restano tali, in quanto irrisolvibili. Ma ciò che è aporetico deve stuzzicare la mente, altrimenti si diventa pressappochisti.
L’uomo non giunge a nessuna risposta definitiva, la verità non è acciuffabile. In questo solco si trovano tutte le domande, anche le più banali, e ciò rende il discorso di ciascuno di noi un gioco interpretativo in cerca di sostenitori. In “Senectus”, Sciacca si allea con pensatori di un certo peso, diventa un loro supporter “leale”. Essere leali non vuol dire non porsi domande o non dubitare del maestro, ma significa metterlo costantemente alla prova trasportando il pensiero sul campo dell’esperienza, cioè tra la vita.
“Senectus” è quindi un dialogo in cui Cicerone e gli altri sono sotto interrogatorio. La vecchiaia è quell’età in cui tutto può essere bello, così come può farsi precario. Ognuno di noi, anche se ancora giovane, ha avuto a che fare con un anziano. Ciascuno di noi può descrivere questa esperienza secondo i propri mezzi linguistici, filosofici e cognitivi, ma una cosa appare chiara: noi temiamo la vecchiaia in quanto anticamera della morte.
La saggezza antica l’ha dipinta in diversi modi, senza porre ricette salvifiche, ma sempre tenendola lì, ben visibile, come momento che va attraversato e vissuto con dignità. Il discorso di Sciacca parte da “testimonianze” provenienti da epoche in cui non esistevano case di cura o programmi di assistenza, ma in cui l’uomo poteva solo fare i conti con sé stesso. L’autore non tralascia nessuna variante, mette in discussione gli svariati punti di vista e ogni citazione. Anche lui sta vivendo questa età? Sì, perciò è autentico.
“Senectus” è uno studio e una teoria, ma anche un pamphlet e un rigoroso testo filologico. Non manca di nulla, perché è per tutti. Il piglio divulgativo è presente fin dalle prime battute, per questo si lascia leggere e argomentare. Cicerone considerava la morte in età giovane un evento che sconquassa la logica della natura. Be’, non sono d’accordo, tale affermazione soddisfa solo la nostra logica, ma non quella della natura. La morte è un accadimento non sottoposto a leggi.
Ma al di là di questa mia incursione, che vuole essere un ringraziamento a un’opera che permette di riflettere, “Senectus” di Sciacca è un libro che riavvicina all’amore per il sapere, uno di quei testi che dovrebbe essere letto nelle aule di scuola, nei quartieri degradati e da coloro che vedono la vita come una corsa verso effimeri traguardi.
Chi ama la filosofia sa bene che tutto nasce da lei, che ogni meccanismo è rievocazione di un problema irrisolto, di una opinione che pretende di farsi scienza, di un pensiero che è figlio dell’uomo e che quindi per sua natura è limitato. Tutto ciò, piaccia o non piaccia, non si supera ma si può arginare con il pensiero attivo. Sciacca non è uno storico della filosofia, ma un filosofo. Sa bene che la storia serve, ma è consapevole del fatto che “capire” è “chiarire” e noi questo chiediamo oggi: chiarezza… secondo misura.