Sapri. Alla scoperta del Teatro di Burattini “Antonio Mercurio”
Articolo di Roberta Manfredi
C’era una volta il signor Ferraiolo che, lasciata la sua compagnia teatrale, decise di traslare la sua esperienza e le sue competenze sui burattini. Potrebbe iniziare così, come una fiaba, la storia del Teatro di Burattini “Antonio Mercurio” di stanza a Sapri; e della fiaba ha, del resto, l’elemento imprescindibile della magia che questa arte porta con sé.
Bisognerebbe allora proseguire raccontando che la seconda guerra mondiale costituì una battuta d’arresto all’attività del capostipite Ferraiolo a cui, subito dopo, il figlio Vincenzo, in società con Ciro Mercurio, nonno di Antonio, diede nuova linfa, portandola in giro per tutta la Campania e poi pian piano per tutta Italia. Quando i due giunsero nella cittadina del Golfo di Policastro, sul finire degli anni ’40, si chiamavano ancora Ferraiolo, ma poi, al momento di dividersi le piazze, si divisero anche i cognomi – come racconta Antonio – e qui rimasero appunto i Mercurio.
A quell’epoca Sapri era un piccolo borgo prostrato dai pesanti bombardamenti inglesi, susseguitisi dal 15 agosto all’8 settembre 1943, che avevano mietuto centinaia di vittime tra la popolazione civile e raso al suolo moltissimi edifici, tra cui la chiesa barocca dedicata a San Giovanni Battista, risalente al primo Seicento; eppure essa doveva essere culturalmente viva negli anni precedenti a quei tragici fatti: «Di festival ancora odo le note» scriveva, con una punta di nostalgia, il saprese Alfonso Miele in una poesia composta proprio in quell’8 settembre 1943 e citata da Luigi Tancredi nel suo libro “Sapri giovane e antica”, oggi consultabile presso la Biblioteca Comunale “Biagio Mercadante”. (di cui si è detto al seguente link).
L’incontro della città con il teatro risale a un’epoca antica: quella romana, per la precisione; il luogo fu infatti sede di un insediamento le cui emergenze furono viste e descritte dallo storico Antonini nel libro “La Lucania” nel corso del XVIII secolo; negli estratti riportati sempre da Tancredi, oltre che delle terme, tuttora visibili nella zona di Santa Croce, all’ingresso nord-ovest del paese, egli parla anche, appunto, di un teatro «i cui gradi manifestamente il mostrano», aggiungendo che «se non era Sapri una gran città, doveva almeno essere di qualche considerazione, tenendo il teatro».
Se la presenza di un teatro, come sottolinea Antonini, era un fiore all’occhiello che poteva facilmente decretare il prestigio di un luogo, bisogna riconoscere alla Sapri dell’epoca contemporanea svariati incontri con quest’arte.
Nel 1898, sorge, proprio dove Antonini scorse i resti dell’insediamento romano, il Collegio di Santa Croce, con annessa chiesa neogotica: il primo istituto deputato all’istruzione dei giovani del circondario; l’opera fu fortemente voluta dal Cavaliere Giuseppe Cesarino, un grande filantropo del posto, cui si deve anche un edificio liberty, con tanto di torre a bovindo, in centro, a pochi passi da dove, oggi, è sito il Comune; in un’aula del collegio si trovava, fino alla metà del secolo scorso, un piccolo palcoscenico dotato di fondale e boccascena decorato.
Negli anni dell’immediato dopoguerra, poi, proprio mentre i Ferraiolo-Mercurio facevano il loro primo ingresso in città, si inaugurò il cine-teatro “Ferrari” che permise a moltissime compagnie amatoriali locali di calcare le sue tavole, diffondendo così anche spettacoli con attori in carne e ossa.
Da ultimo si cita, in anni più tardi, la compagnia filodrammatica del maestro Giovanni Sorrentino che annoverava tra le sue schiere il maestro Antonino Violi, il quale riscosse enorme successo nel ruolo di Ferdinando Quagliuolo nella rappresentazione della commedia “Non ti pago” di Eduardo De Filippo. Correva l’anno 1969.
Se torniamo all’incipit di questa storia, salterà subito agli occhi come il capostipite Ferraiolo, prima di cimentarsi con i burattini aveva fatto parte per anni di una compagnia teatrale, e sono proprio i testi portati sul palcoscenico da quest’ultima che egli rivisita perché siano interpretati dai piccoli attori di legno.
Emergono così, dal repertorio che il Teatro Mercurio mantiene immutato dal sodalizio coi Ferraiolo, opere che si rifanno alla grande tradizione partenopea, scarpettiana soprattutto, evidenziate ulteriormente dalla presenza del Sciosciammocca quale spalla comica di Pulcinella; un Sciosciammocca al cui burattino sono stati conferiti gli inconfondibili connotati del principe della risata, che diede notorietà a questo buffo anche al cinema, nella pellicola “Miseria e Nobiltà”, diretta da Mario Mattoli nel 1954.
Ma Totò non è l’unico volto celebre che, in formato ligneo, anima le avventure proposte dal Teatro Mercurio: inconfondibile è pure Eduardo De Filippo, utilizzato per la parte del vecchio; mentre, a differenza del classico Pulcinella burattino, quello dei Mercurio, così come dei Ferraiolo, indossa, sotto il camicione bianco tipico della maschera, anche la maglia rossa introdotta da Petito.
Proprio “Miseria e Nobiltà” fa parte del repertorio, in una rivisitazione che non solo sostituisce il Pulcinella al Sciosciammocca, ma che insiste fortemente sul divario sociale, rendendolo ben visibile nella differenza dei cibi consumati dalle classi subalterne e dalla borghesia; pietanze, quelle di cui si alimenta abitualmente quest’ultima, che Pulcinella e il compare Mastro Raffaele non hanno mai visto, né sentito nominare e dunque non riescono neppure a immaginarle, dando adito a una serie di equivoci e giochi di parole davvero esilaranti.
Antonio Pizzo, autore del libro “Scarpetta e Sciosciammocca: nascita di un buffo”, pure questo presente nel patrimonio della “Mercadante”, sottolinea come quest’opera datata la 1887, trovi un precedente nelle produzione dello stesso Scarpetta, in particolare nei temi della convivenza di Sciosciammocca con un suo amico, in questo caso proprio lo stesso Pulcinella, e dell’impossibilità di entrambi a sfamare le rispettive mogli; i due amici vengono perciò visitati dal diavolo, che promette loro diecimila ducati a patto che commettano un omicidio.
La rappresentazione, virata sull’opera buffa, si intitola “Gli spiriti dell’aria” e conosce alcuni punti in comune con uno spettacolo del Teatro Mercurio: “Pulcinella e Felice Sciosciammocca nello scongiuro dei diavoli”; qui viene ripresa la tematica della promessa dei soldi da parte del diavolo il quale, in questo caso, dona a Pulcinella «una borsa di Luigi d’oro che vale milioni»; degno di nota anche il fatto che il Lucifero, primo a comparire sulla scena, chiami a raccolta la schiera degli «spiriti del vento» con evidente rimando al titolo del lavoro scarpettiano.
Il demonio è presente anche in un’altra commedia dei Mercurio: “Pulcinella principe dell’Inferno” e tale presenza non è forse così casuale: non bisogna del resto dimenticare che Pulcinella è una maschera della Commedia dell’Arte e, come sottolinea Siro Ferrone nel libro “La Commedia dell’Arte – Attori e attrici italiani in Europa (XVI-XVIII secolo)”, «la maschera evocherebbe […] una zona liminale fra il terreno e l’ultraterreno […]. Nella pastorale La Fiammella, data alle stampe dall’attore Bartolomeo Rossi, è la maschera di Pantalone a scendere sottoterra per tentare di sottrarre ai diavoli e riportare nel mondo, grazie all’arte negromantica, lo Zanni Bergamino e il Dottore. E nere appaiono le maschere che coprono i volti di questi reduci dai fumi e dalle fiamme d’Averno, a causa della fuliggine che si è incrostata sulla loro pelle e che li fa diversi, figure intermedie, appunto, tra la vita e la morte».
Nell’ambito della Commedia dell’Arte Pulcinella nasce servo sciocco: il suo compito è quello di cooperare con il servo astuto Coviello al fine di far convolare a giuste nozze il primo innamorato e la prima innamorata, osteggiate dal padre di lei che ha promesso la figlia ad un altro, in un intreccio che si ripete costantemente. In “Pulcinella principe dell’Inferno” la maschera viene promossa, e da servo sciocco diviene primo innamorato; al diavolo il compito di aiutarlo a sposare Luisella, nonostante i tentativi del rivale Papiluccio Naso Di Cane di sabotare il matrimonio.
Le commedie dei Mercurio, di cui si sono potuti citare solo pochi, per quanto significativi esempi, mostrano dunque un fortissimo retroterra culturale che fa di questo teatro di burattini non solo un fiore all’occhiello per la città di Sapri, ma anche un importantissimo ponte fra passato e futuro, un mezzo che sappia divulgare e preservare per i posteri una tradizione ricchissima che non deve in nessun modo venire meno.
L’invito, riservato indistintamente a grandi e piccini, è dunque quello di venire a vedere coi propri occhi!