Una questione di vitamina C
Racconto e foto di Adalgisa Giannella
Quando arrivava l’autunno, Irene apparicchiava la cesta sul tavolo della sala da pranzo con sotto il centrino all’uncinetto ereditato da nonna Santa, bianco e inamidato a dovere. Ci metteva arance, mandarini, uva, mele, pere, banane che al mercato rionale acquistava con pochi euro dopo mezzogiorno, quando nisciuno accattava chiù nient.
Arrivava vierno e la famiglia (issa e Claudina) con quello ci facevano il pieno di vitamina C, perché a spennere sulle medicine non aveva soldi e si dovevano proteggere dal gelo, l’umidità, u friddo che c’era fora e dinto quella casarella che aveva solo il foculare in cucina.
La Caritas ci aveva regalato un divano letto e là dormivano lei e Claudina, strignendosi sotto le tre coperte, che aveva lasciato zia Ilde, con le cuffie di lana in testa e i pigiami del marito defunto. Povero Gianni, che di tutta una vita aveva vissuto quarant’anni, pecche’ e malatie acchiappano i puverielli che non smettono di lavorare neanche co male e cap e a freva a quaranta.
Questi pensieri la scutuliavano forte e li doveva allontanare perché Claudina doveva crescere meglio di loro, studiare e farsi un avvenire. Per questo andava a servizio tutto il giorno nelle case più belle della sua, anche se le mani si erano stortiate e facevano male per non parlare della schiena che ci dava fitte dappertutto.
Dolori e soldi messi da parte per la figlia e l’università.
A Dio ci esprimeva un sogno: che fosse caldo tutto l’anno e che potesse campare e lavorare fino a che Claudina si fosse sistemata.
Miracoli, miracoli.
I puverielli si attaccano ai sogni per campare e ai frutti per guarire.
Oggi ci avrebbe appriparato na bella macedonia mentre il freddo le sfrisava la pelle.
Mele, pere, banane, uva, succo d’arancia, limone, zucchero e cannella.
Claudina le avrebbe stampato un bacio sulla guancia e la forza beneritta sarebbe tornata.